by Sergio Segio | 8 Dicembre 2012 8:34
E recita ancora il suo cavallo di battaglia, che un tempo era l’insegna della sua ascesa e oggi lo è del suo declino: la chiamata a raccolta degli italiani in una situazione di rischio, l’appello populista alla pancia del Paese per scatenare la mobilitazione regressiva, il rinculare di massa davanti a un ostacolo, a un passaggio difficile.
Lo fece nel 1994, quando gli elettori in libertà del pentapartito trovarono nella neonata Forza Italia una nuova casa accogliente, nella quale darsi con ancora maggiore convinzione agli stessi antichi vizi che avevano coltivato negli anni terminali delle Prima repubblica; e lo fa oggi, dopo che l’ultima delle sue creature politiche, il Pdl, era sul punto di collassare davanti alla prova-Monti. La prova della comune responsabi-lità , della politica orientata, per una volta, a qualcosa che assomiglia a un progetto collettivo (per quanto correggibile e modificabile) e non a un interesse individuale del leader.
Davanti a una prova politica il partito della destra italiana vacilla, barcolla, va in fibrillazione; perde pezzi del ceto dirigente e dell’elettorato, dimostra di non essere un partito ma un insieme di problemi, di velleità , di ambizioni, di paure. Uno strumento inservibile, tanto per i moderati quanto per il fondatore-padrone. Che se lo riprende, constatandone la debolezza e la divisione interna, per rifarlo nuovo – dopo avere perfino pensato di farne nascere un altro –; cioè per rifarlo vecchio, del tutto personale, del tutto privo di dialettica politica interna, del tutto fungibile e disponibile per i propri interessi.
Che sono, nell’ordine: bloccare il decreto legislativo sulla non eleggibilità dei condannati; entrare in campagna elettorale (la cosa che sa fare meglio) e legittimamente (così crede) sottrarsi alle fasi finali del processo Ruby; bloccare la riforma della legge elettorale per avere in mano il partito (nominando i parlamentari) e trasformarlo in una sorta di granitica guardia del corpo personale; puntare al colpaccio del pareggio (o quasi) al Senato (come nel 2006) o in ogni caso garantirsi una sorta di atterraggio morbido come esito non traumatico del proprio declino. Il tutto attraverso un pauroso indebolimento del governo, che non nasce tuttavia dall’apertura di un diverso orizzonte politico ma risponde semmai all’esigenza di lucrare consensi, di giocare con l’esasperazione dei cittadini, di sfruttare la rabbia (giustificata) degli italiani per la crisi, per la recessione, per la disoccupazione, per l’Imu, per le tasse, per l’assenza di prospettive di ripresa. E scommettendo sul fatto di riuscire a trasformare questo diffuso malessere in ribellione, guidata proprio da colui che dell’impreparazione dell’Italia, dei dieci anni perduti, è largamente corresponsabile. Scommettendo insomma sul fatto che gli italiani nella ricerca del “colpevole” si fermino al medico (non infallibile, certo) e non risalgano alla ma-lattia, che nel mirino del loro rancore inquadrino Monti e non Berlusconi.
Tutto è possibile, naturalmente, anche se improbabile; è possibile che gli italiani si lascino sedurre da una campagna anti-euro, da una ritrovata vena “sociale” del miliardario, dalla prospettiva del ritorno alla lira e alle svalutazioni competitive. E per evitare questo esito grottesco prima ancora che infausto, questa nuova disastrosa fuga di massa nei dorati giardini dell’illusione, sarà bene che le forze politiche di
centrosinistra e di centro moderato sappiano prendere sul serio la nuova (vecchia) discesa in campo: che non lascino a Berlusconi il monopolio della gestione del disagio sociale, e lo assumano anzi come questione-chiave dell’agenda politica, ma sappiano declinarlo senza rabbia e senza irrazionalità ; e che capiscano che il tema conduttore della campagna elettorale da oggi non è più la contrapposizione fra montismo e antimontismo di sinistra (vero o presunto), ma fra forze responsabili e forze irresponsabili, fra un fronte – variegato e articolato fin che si vuole – che va dall’Udc a Vendola, da una parte, e, dall’altra, l’accoppiata dei
competitor
che si muovono sul medesimo terreno e sulla medesima lunghezza d’onda, dei due attori che si contendono lo stesso pubblico: Berlusconi e Beppe Grillo.
Di emergenza in emergenza, dunque; da quella, economica, che ha investito il governo Monti a questa, politica ed etica, di una perenne mistificazione (suadente o urlante, secondo i casi e secondo
i diversi accompagnatori del solista principe) e di un eterno cinismo che offre un’altra mela avvelenata a un Paese che si presume popolato da eterni immaturi. Insomma, di un passato
che non vuole passare.
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