La doppia rivoluzione del Venezuela chavista

by Sergio Segio | 18 Dicembre 2012 8:18

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CARACAS. «Non restare a casa, domenica, vieni a votare». In Venezuela, gli elettori hanno risposto solo in parte alla canzoncina ritmata che, dagli altoparlanti per strada li invitava ad andare alle urne il 16. Secondo i dati del Consiglio nazionale elettorale (Cne), alle regionali di domenica ha votato solo il 46% degli aventi diritto (17 milioni). La più alta astensione registrata dal 2005. I candidati chavisti, presentati dal Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), dal Partito comunista (Pcv) e da altre coalizioni minori, hanno vinto in 20 dei 23 stati nei quali si votava (in tutto sono 24). L’opposizione, articolata nella coalizione della Mesa de la unidad democratica (Mud) ha perso quattro bastioni, Zulia, Tà¡chira, Nueva Esparta e Carabobo. Ha conservato invece Miranda, il secondo Stato più importante della nazione, che resta governato dall’ex-candidato alla presidenza, Henrique Capriles Radonski (del Partito Primero Justicia), sconfitto da Chà¡vez il 7 ottobre scorso. Elias Jaua, che correva per la sinistra, ha perso con il 46% contro il 52%.
In 11 stati, lo schieramento di governo ha vinto su quello di centro-destra con oltre il 60%, e con uno scarto importante. In un paese in cui 3 dei 5 poteri esistenti sono diretti da donne, alcune governatrici chaviste hanno fatto il pieno di voti. Nel Delta Amacuro, la candidata del Psuv, Lizeta Hernà¡ndez ha ottenuto il 75,31% contro Arevalo Salà¡zar (22,18%). Nel Cojedes, Erika Farà­as ha vinto con quasi 30 punti in più: 62,32% contro i 37,13% di Alberto Galindez. Nella costa nord, Stella Lugo resta governatora dello stato di Falcà³n con oltre 14 punti di vantaggio su Gregorio Graterol (50,31% contro 36,77%).
Hanno trionfato anche candidati del Psuv molto contestati dalla base di sinistra. Nel Guà¡rico, Rodrà­guez Chacà­n si è portato a casa il 73,37%, mentre il suo avversario, Manuel Gonzà¡lez, ha totalizzato solo il 26,57%. Nel Bolivar, Francisco Rangel Silva l’ha spuntata per poco su Andrés Vélasquez: 45,1% contro 44,64%. In questo stato a forte componente operaia, il Pcv aveva scelto di correre da solo con Manuel Arciniega, che ha totalizzato l’8,17%.
Undici governatori chavisti sui 20 complessivi sono ex militari: quattro ex ministri della Difesa (Rangel Silva, Mata Figueroa, eletto a Nueva Esparta, Ramon Carrizà¡lez, governatore dell’Apure, e Garcà­a Carneiro, nel Vargas), un ex capo del Servizio imposte, il Seniat (Vielma Mora, vincitore nel difficilissimo Tachira), un ex ministro degli Interni ed ex vicepresidente della Repubblica (Ramà³n Rodrà­guez Chacà­n); un ex ministro della Segreteria della Presidenza (Francisco Rangel Gà³mez). Alcuni di questi (Castro Soteldo, eletto a Portughesa, Francisco Ameliach, che governa Carabobo e Vielma Mora), hanno accompagnato l’ex tenenente colonnello Hugo Chà¡ves Frias nella ribellione del 1992, quando un gruppo di militari progressisti, appoggiati da diverse correnti di sinistra e del nazionalismo, tentò di prendere il potere ma venne respinto. Faceva parte del gruppo anche Luis Reyes Reyes, che si è presentato nel Lara ma è stato sconfitto dal sempiterno governatore Henry Falcon, un ex chavista che ha cambiato casacca subito dopo essere stato eletto. Ha effettuato qualche giravolta anche Francisco Arias Cà¡rdenas, uno dei comandanti della ribellione insieme a Hugo Chà¡vez. Nel ’95, venne eletto governatore del Zulia come candidato della formazione Causa R, poi si presentò con l’opposizione nel 2000, e perse. Un altro militare, Julio Leà³n Heredia, è stato eletto governatore di Yaracuy.
Un’articolazione di figure diverse, che riflette interessi e correnti dell’apparato statale bolivariano, oggi in piena trasformazione. Vi si ritrovano elementi appartenenti a quella che la sinistra chavista definisce la destra “endogena” o la “boliborghesia” (opportunisti, nazionalisti allergici alla presenza dei comunisti e amici delle grandi imprese), sinceri progressisti incamminati verso il socialismo per cui spinge Chà¡vez, e altri che preferirebbero accomodarsi in modo più tranquillo dietro l’ex militare Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea nazionale e vicepresidente del Psuv.
Un’assenza pesante
Queste elezioni si sono svolte senza il presidente Hugo Chà¡vez, operato per la quarta volta a Cuba per il tumore che lo affligge dal 2011, ora tornato ad aggredirlo. Per tutta la campagna elettorale, le orazioni di augurio per la sua salute si sono unite a quelle per le festività  natalizie e alle ipotesi sui possibili scenari politici in caso venisse a mancare. Sul suo stato di salute – che il bollettino medico definisce in «lento e progressivo recupero» – si sta dicendo di tutto: compreso il fatto che Chà¡vez sarebbe già  morto, ma l’annuncio sarebbe stato dato nel 182mo anniversario della morte del libertador Simon Bolivar (che si è svolto ieri, senza nulla del genere). Secondo gli analisti di opposizione e i loro sponsor della stampa nordamericana, in caso venisse a mancare Chà¡vez (figura carismatica e unificante delle varie anime del proceso), un eventuale golpe potrebbe provenire non dalle loro fila (che ci hanno già  provato nel 2002), ma proprio dalle correnti militari che si rifanno a Cabello: e che mal digeriscono la direzione di un civile, l’ex dirigente sindacale Nicolas Maduro, attuale vicepresidente, indicato da Chà¡vez come il miglior candidato in caso di nuove elezioni.
In base alla costituzione, se il 10 gennaio 2013 – giorno in cui è prevista l’inaugurazione del nuovo sessennio presidenziale -, Chà¡vez non potesse assumere l’incarico, i poteri presidenziali verrebbero affidati a Cabello, presidente dell’Assemblea Nazionale, che dovrà  convocare entro 30 giorni nuove elezioni. In caso di inabilità  momentanea alla vita pubblica, i tempi si allungherebbero. Chà¡vez avrebbe voluto che Cabello, 50 anni, fosse candidato governatore nello stato di Monagas, ma il Psuv ha scelto diversamente. A controbilanciarne il peso, Chà¡vez ha così messo a dirigere il ministero della Difesa uno dei suoi fedelissimi, il capo delle Forze armate, Diego Molero. E ha scelto pubblicamente di puntare su un altro cinquantenne, Nicolas Maduro, ex conducente di autobus e chavista della prima ora.
«Maduro sarebbe una buona scelta – dice al manifesto l’86enne Diego Requena, presidente della Fundacion de los amigos de los anos ’60 – perché ha esperienza in tre campi fondamentali della politica: quello operaio e sindacale, quello di governo, per cui conosce i necessari meccanismi di mediazione anche con l’opposizione, e quello della politica estera, in cui ha dato ottime prove». La Fundacion è un osservatorio politico e un luogo di resistenza, che riunisce esperienze politiche di lungo corso come quella di Manuel Vadell, costituzionalista e uomo di cultura che ha avuto incarichi governativi, e molti giovani. Vi sono anche diversi ex guerriglieri degli anni ’60 e ’70, che si sono scontrati con i militari governativi e ne hanno convinto una parte ad appoggiarli. «In caso di inabilità  del presidente Chà¡vez – afferma Monica Venegas, ex guerrigliera e docente universitaria – si aprirebbe un vaso di Pandora da cui possono uscire demoni diversi e pericolosi. Dobbiamo vigilare e intensificare gli sforzi per la costruzione di una direzione collettiva, di cui ancora siamo carenti».
Un popolo politicizzato
Juan Vicente Cabezas, l’ex Comandante Pablo, fondatore del Frente Guerrillero José Antonio Pà¡ez, interviene: «Abbiamo un popolo molto politicizzato ma non molto organizzato, perché il Psuv è un partito di massa, che sa mobilitarsi a livello elettorale, ma non è un partito di quadri con una linea definita e indirizzata al socialismo. Per questo, il Pcv dà  un supporto forte con le scuole di formazioni di quadri, cerca di organizzare i dirigenti operai, spesso preda di mafie sindacali che si uccidono fra loro per la compravendita dei posti di lavoro». La Forza armata? «Non credo – aggiunge – che il problema principale sia riconducibile a Cabello, sul quale peraltro i giudizi si dividono. Il fatto è che Chà¡vez ha dovuto lavorare per il socialismo con l’esercito della IV Repubblica. Un esercito in parte democratico, in parte nazionalista progressista, in parte allievo della Scuola delle Americhe e nemico del comunismo. Ci sono stati molti passi avanti, ma tanto altro c’è ancora da fare. Qui non è come a Cuba. Fidel ha potuto contare su un esercito nuovo, costruito sulle montagne di guerriglia, e su un partito che lo appoggiava. Dopo la rivoluzione, i borghesi se ne sono andati a Miami. In Venezuela, invece, è come se tutti i controrivoluzionari di Miami fossero rimasti nel paese a complottare. E agiscono sulle nostre contraddizioni. La vittoria elettorale di questi militari può essere un fattore di stabilità , sta ai comunisti lavorare per un ulteriore passo in avanti di questa società  in trasformazione».
E il belga Thierry Deronne, direttore della Scuola popolare di cinema, tv e teatro, e docente in comunicazione sociale, dice al manifesto: «Il Venezuela vive una doppia rivoluzione. La prima è la trasformazione di un popolo in soggetto politico. La seconda è la rinascita di uno Stato e la moltiplicazione di servizi pubblici di grande portata. In Europa, questi fatti sembrano suscitare meno interesse della domanda: che succede a Chà¡vez? Ma questo paese non è una monarchia: ha un’avanzata costituzione, elezioni per scegliere o rifiutare i programmi dei candidati e soprattutto un popolo cosciente e vigile, capace di criticare e di orientare la politica». Una maggioranza sociale oggi al centro dello spazio politico che spinge per accelerare il processo storico con un’intensità  che genera altri problemi da risolvere. Priva di un partito che non si è saputo trasformare in “intellettuale collettivo” e che viene percepito solo come luogo simbolico di appoggio elettorale a Chà¡vez (il Psuv), questa struttura magmatica e a rete è però ancora incapace di produrre processi di organizzazione solidi e permanenti. Dal basso e dalla sinistra più preparata, nasce però un’esigenza di maggior direzione politica e la spinta verso la costruzione delle Comunas, istituzioni che permetterebbero di mettere ulteriormente in primo piano la «democrazia partecipata e protagonica»: dando più potere diretto alle comunità , consentendo loro di federarsi in base a sintonie e progetti e di gestire direttamente le risorse dello stato attraverso i Consigli comunali. Ma per questo, serve una modifica della costituzione e bisognerà  vedere come andranno le comunali dell’aprile 2013. Con o senza Chà¡vez, questo Venezuela sembra ben deciso a non tornare indietro.

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