La corsa a ostacoli dell’Europa

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PARIGI. Se l’Unione europea non vivesse nell’angoscia della crisi economica, con gli occhi bassi che guardano solo il triste presente, il Consiglio europeo di oggi e domani a Bruxelles potrebbe aprire un grande dibattito sul futuro tra i 500 milioni di cittadini. Difatti, l’Europa parla oggi e domani del proprio futuro. Alla conclusione dovranno essere approvate le grandi linee della Road Map a medio e lungo termine. In nessuno dei due documenti che sono sul tavolo dei capi di stato e di governo, quello della Commissione e quello del presidente del Consiglio Herman Van Rompuy, viene esplicitamente citato il termine che scotta: «federalismo». Ma nei fatti di questo si tratta, non per tutti i 27 (o 28, a gennaio arriva la Croazia), ma per i 17 della zona euro. Una prospettiva che ne implica un’altra, anch’essa mascherata: quella dell’Unione a più velocità , con un nocciolo duro integrato per la zona euro.
La zona euro, unione monetaria, si dovrà  trasformare in unione politica per sopravvivere, un incrocio tra Usa e Repubblica federale tedesca, al più presto nel 2018, dopo una riforma dei Trattati. Come è scritto nei documenti di lavoro, «la crisi della zona euro ha mostrato che esisteva incompatibilità  tra la moneta unica e politiche economiche e di bilancio nazionali». Il salto federale, che era chiaro già  con il Trattato di Maastricht, è stato rimandato dal ’91, per timore dei politici nazionali, che hanno paura delle spinte populiste anti-europee. Supervisione bancaria La Road Map è fatta di piccoli passi. Il primo, imminente, è la supervisione bancaria. I ministri delle finanze ne hanno discusso la notte scorsa. La Francia vuole un accordo rapido sulla supervisione bancaria, mentre la Germania frena. Per Parigi, dopo le promesse dei vertici di giugno e ottobre, bisogna passare all’atto e dare maggiori poteri di controllo alla Bce, con maggiori capacità  di intervento (controllo/ sanzioni) sulle 6200 banche europee. La Germania frena, perché non vuole sottomettere al controllo della Bce le sue banche regionali (molto legate al mondo politico).
Un compromesso sarebbe un controllo della Bce su banche «sistemiche», che hanno un peso rispetto al pil (si parla del 20%) e con filiali in almeno 3 paesi Ue. Al di là  di complicati dettagli tecnici, l’accordo significherebbe spezzare il legame tra debito delle banche e debito pubblico (quello che ha trascinato la Spagna al fondo della crisi) e l’approvazione della supervisione bancaria permetterebbe la ricapitalizzazione diretta delle banche. Nel 2014 potrebbe essere raggiunta la comunitarizzazione dei rischi bancari nella zona euro (con garanzia comune dei depositi). Politiche economiche Da due anni i controlli sulle strategie di bilancio nazionali si sono rafforzati. Six Pack, semestre europeo (finanziaria sottoposta a Bruxelles prima di passare di fronte ai parlamenti nazionali), regola aurea diventata legge se non addirittura articolo della Costituzione, prossimamente Two Pack: siamo andati avanti a colpi di bastone, adesso si deve discu[ere della carota. L’obiettivo, al più presto nel 2015 (passate le elezioni europee del 2014), è arrivare a un bilancio comune della zona euro, finanziato anche da risorse proprie (Iva, ma anche proventi della futura Tassa sulle transazioni finanziarie, o anche della Carbon Tax). Ci sarà  cioè un Tesoro comune, che potrà  accedere a prestiti comuni. Si tratterà  di avere una «capacità  di bilancio» per far fronte ai cosiddetti «choc asimmetrici» (cioè quando un paese ha un problema che gli altri non hanno). Fermo restando il principio, ormai scolpito nel marmo, delle necessità  delle riforme strutturali, al paese in difficoltà  potranno essere concessi aiuti. Non trasferimenti stabili, che i paesi virtuosi rigettano (Germania, Finlandia, Olanda), ma la messa in opera di un meccanismo di assicurazione reciproca nella zona euro, un’assicurazione contro il fallimento degli stati in cambio di controlli rafforzati sui bilanci nazionali con l’obiettivo di rafforzare la convergenza.
Con questa integrazione, la via è aperta per gli Eurobills, per un Mes (Meccanismo europeo di stabilità ) comunitarizzato, per la mutualizzazione dei debiti nazionali che superano il 60% concesso dai parametri di Maastricht. La Francia insiste sull’ «integrazione solidale», la Germania mette soprattutto l’accento sui controlli preventivi e sulle «condizionalità » per accedere ai prestiti. Il percorso è evidentemente difficile e lento. Il percorso è evidentemente difficile e lento. C’è da risolvere la questione dei rapporti tra la zona euro e gli altri stati membri della Ue (ostacolo che potrebbe portare all’uscita della Gran Bretagna dalla Ue). C’è da risolvere la questione del controllo democratico e dei poteri accresciuti del parlamento europeo. Ma la nuova Europa è in gestazione. Grecia L’operazione di buy back del proprio debito a prezzi stracciati è stata «soddisfacente»: la Grecia dovrebbe aver comprato da creditori privati 31,9 miliardi di proprie obbligazioni, pagate 33,8 centesimi per un valore nominale di un euro. Ma Atene chiede 1,29 miliardi di finanziamento in più per portare a termine l’operazione. Questo passo permette così di sbloccare la tranche di aiuti di 34,4 miliardi da parte di Ue e Fmi, che permetterà  alla Grecia di non fare fallimento.
Brevetto europeo
Una buona notizia pre-vertice: il Parlamento europeo ha approvato martedì il «brevetto unico europeo», che permette di proteggere le invenzioni a livello comunitario, invece di dover presentare una domanda per stato. Era più di 40 anni che se ne discuteva.


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