La balcanizzazione di una tragedia
El’opposizione non ha la forza per rovesciare Assad, sostenuto militarmente da Mosca e Teheran. L’Iran, legato a un patto politico e militare alla Siria, non intende ammorbidire la sua posizione sino a quando qualcuno non prospetti il riconoscimento di una sua influenza nel paese anche nel caso di mutamento di regime. Quanto al Consiglio di Sicurezza, posto che gli americani vogliano sollevare davvero il coperchio del vaso di Pandora siriano, con tutte le implicazioni geopolitiche regionali che ne conseguono, Russia e Cina continuano a impedire qualsiasi risoluzione che preveda un intervento esterno.
Morale della truce “favola” che ormai da due anni insanguina la Mezzaluna fertile: il conflitto non solo prosegue ma si fa sempre più duro. Per il tipo di armi usate: carri e aviazione sino al gas da parte di Assad; armi leggere divenute sempre più pesanti fornite da Turchia, paesi del Golfo, Stati Uniti, da parte dei suoi acerrimi nemici. Uno scontro che ha come campo di battaglia privilegiato lo scenario urbano, teatro che aumenta le perdite di civili. Unica linea rossa, forse non ancora varcata nonostante le affermazioni di opposizione e disertori, le armi chimiche: ipotesi estrema e suicida per il regime.
Insomma, un mattatoio quello siriano. Alimentato non solo dallo stragismo di Assad ma anche dalla deriva settaria del conflitto, nella quale il marcatore identitario, di tipo etnico o religioso, diviene il principale fattore di raggruppamento e di ostilità nei confronti degli altri gruppi etnici e religiosi. E dalla presenza di reduci jihadisti dall’Iraq intenzionati a definire l’egemonia nel campo islamista: anche a scapito della locale Fratellanza Musulmana, che guida parte dell’opposizione, ritenuta troppo moderata. Sono militanti del fronte Al Nusra, militarmente efficiente nei combattimenti e perciò rispettato dagli altri oppositori. Tanto che quando Al Nusra è stato incluso dagli Stati Uniti nella black list delle organizzazioni terroristiche, in quanto vicino a Al Qaeda, la disapprovazione è stata corale.
L’azione diplomatica risente anche delle rigidità interne. L’inviato dell’Onu e della Lega araba Brahimi, ha incontrato in questi giorni Assad e le opposizioni di sinistra e nazionaliste vicine a Mosca, ostili non solo a un intervento esterno ma anche a collegarsi con la Coalizione dell’opposizione unificata a Doha sotto pressione degli Usa. Il solo fatto che, per sbloccare l’impasse, Mosca e Washington abbiano ipotizzato di lasciare al potere Assad sino al termine del suo mandato, nel 2014, ha irrigidito il cartello di Doha e fatto gridare al complotto i Fratelli Musulmani. Indizio di quel che bolle nella pentola delle cancellerie internazionali, la Fratellanza ha rigettato ogni lettura di tipo confessionale del conflitto. Temendo un compromesso internazionale fondato sul rispetto delle aree d’influenza delle grandi potenze protettrici delle diverse comunità confessionali. Turchia Arabia Saudita, Qatar, Egitto in campo sunnita e Iran in campo sciita. Una «balcanizzazione » della Siria che nell’impasse qualcuno vede, a breve, come male minore. Nel frattempo Brahimi vola a Mosca, dove senza troppe speranze cercherà la soluzione del conflitto senza sbocco.
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