India: il popolo Dongria Kondh, la multinazionale Vedanta e le colline di bauxite

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“L’apertura della nuova miniera di bauxite, ancora priva di adeguate valutazioni sugli impatti ambientali, non rispettava le leggi che tutelano l’ambiente e la foresta e se realizzata avrebbe violato i diritti di proprietà  dei Dongria Kondh e di altre comunità  che vivono sulle colline di Niyamgiri” ha spiegatoAmnesty International che con Survival InternationalActionAidWar on Want ha fin da principio documentato una vicenda non ancora conclusa, perché la Vedanta si è appellata contro la decisione del Governo di bloccare la miniera.

Per questo la settimana scorsa migliaia di uomini e donne del popolo Dongria Kondhhanno manifestato ai piedi delle colline di Niyamgiri, considerate sacre dai nativi (oltre che ricche di biodiversità  e di acqua), per esprimere la loro rinnovata e ferma opposizione ai controversi progetti minerari della Vedanta Resources. Contemporaneamente alcuni manifestanti si erano radunati anche a Londra, davanti all’Indian High Commission, chiedendo anch’essi l’archiviazione definitiva dei progetti minerari della Vedanta. Proprio giovedì 6 dicembre la Corte Suprema dell’India avrebbe, infatti, dovuto rendere noto il verdetto definitivo sul futuro della nuova miniera di bauxite, ma la sentenza d’appello, soggetta a continui rinvii ed enormi interessi economici, è stata posticipata a gennaio e il futuro delle colline di Niyamgiri rimane ancora incerto.

“Il clima della manifestazione, per quanto pacifico, è stato incandescente – ha riferitoStephen Corry, direttore generale di Survival International – Il gigante minerario ha confermato l‘avvenuta chiusura della raffineria di alluminio perché senza il permesso di scavare sulle colline di Niyamgiri non poteva fornire bauxite sufficiente ad alimentare la struttura. Tuttavia, i Dongria Kondh, che hanno combattuto come Davide contro Golia per proteggere la loro terra, chiedono il completo smantellamento del sito, per paura che un giorno possa essere riaperto”.

Dopo anni di lotta la determinazione della tribù a proteggere la propria terra e il proprio futuro rimane forte e immutata. “La sua presenza è dannosa e pericolosa – ha dichiarato a Survival Prafulla Samantara, un attivista del movimento Ekta Parishad – per questo vogliamo che Vedanta faccia definitivamente le valige”. Parlando a Survival, due donne tribali hanno ribadito che: “Non lasceremo mai la nostra terra. Useremo tutte le nostre forze per mandarli via [Vedanta] da queste colline lasciandoci finalmente vivere la nostra vita in pace!”. Per Corry “La protesta che si è svolta a Niyamgiri giovedì dimostra, ancora una volta, la forza incrollabile dei Dongria Kondh, che da anni vivono nel terrore di perdere la loro terra. La chiusura della raffineria li ha avvicinati ancor di più all’obiettivo di proteggere la loro montagna una volta per tutte, ma la sua chiusura, per garantire il successo di questa lunga battaglia dei diritti, deve essere permanente.”

La strada appare, insomma, ancora lunga, ma i protagonisti non sembrano rassegnati. In questi anni Amnesty International ha supportato gli attivisti indiani nella difesa dei diritti umani di queste comunità  e ha pubblicato due rapporti importanti:Generalisations, Omissions and Assumptions: The
failings of Vedanta’s Environmental Impact Assessments for its bauxite mine and alumina refinery in India’s state of Orissa(.pdf del 2011), e Don’t Mine us out of Existence: Bauxite Mine and Refinery Devastate Lives in India (.pdf del 2010) nei quali ha spiegato nel dettaglio gli abusi subiti dalle comunità  Kondh e la mancanza da parte della Vedanta e dello stato dell’Odisha di un’analisi esaustiva sull’impatto della nuova raffineria e della miniera sulla popolazione. L’azienda, a quanto pare, non ha mai adeguatamente informato o consultato le comunità  locali degli Adivasi, così come previsto dalla legislazione indiana e dagli standard internazionali sui diritti umani, “Nonostante con il rapporto Vedanta’s Perspective(.pdf) la multinazionale tenti di difendere l’approccio passato sostenendo di aver sviluppato una politica sui diritti umani e sulla sostenibilità  – ha spiegato Amnesty – il nostro nuovo briefing Vedanta’s perspective uncovered del luglio del 2012 respinge i tentativi dell’azienda di esonerare se stessa”. Le testimonianza raccolte dagli attivisti nel periodo 2010-2012, l’indagine sul campo tra le comunità  colpite dalle attività  dell’azienda e i risultati di non conformità  degli enti regolatori indiani e di altri enti ufficiali, lasciano pochi dubbi in merito.

Ora Amnesty International, in attesa della sentenza definitiva di gennaio e della conferma della decisione del Governo indiano di bocciare il progetto di espansione della raffineria, si è rivolta con un appello aperto in settembre anche al presidente della Vedanta, Anil Agarwal, chiedendo all’azienda di assumersi le proprie responsabilità  affinché l’impatto negativo che le attività  della raffineria di Lanjiagarth stanno avendo sull’ambiente, sulla salute e sui diritti umani, sia affrontato con urgenza “impegnandosi pubblicamente a non espandere la raffineria e a non andare avanti con i piani sulla miniera se non con il consenso libero, preventivo e informato dei dongria kondh”.

Alessandro Graziadei


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