In Parlamento con le botte sul viso

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Il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, c’era anche lei a manifestare nelle strade di Ankara, a fianco della combattiva ministra turca per la Famiglia Fatma Sahin. Pochi giorni dopo, Fatma Salman è diventata un caso celebre. La deputata 42enne membro del partito al governo Akp, islamico moderato, si è presentata in Parlamento con vistosi ematomi sul volto. Non ha fornito spiegazioni pubbliche, i segni parlavano da soli. Ma ha chiesto, e ottenuto, un’ordinanza restrittiva nei confronti del marito Idris Kotan e per lei misure di protezione, poi un divorzio a tempo di record. Divorzio consensuale, senza specifiche colpe né accuse. Ma ancora una volta le parole sono irrilevanti quando il viso di Salma è finito in prima pagina sui media turchi, e ora sta girando il mondo.
Membro della Commissione parlamentare per le pari opportunità , attiva nel combattere i matrimoni delle bambine (illegali ma diffusi), anche prima degli ultimi eventi Fatma Salman ha una storia che spiega bene la scelta di dedicarsi a queste battaglie. Proviene da Agri, al confine iraniano, nella regione che in Turchia è proibito chiamare «Kurdistan» (la questione curda è sempre aperta e dolente) e viene definita Anatolia Orientale. Comunque sia, è una delle zone del Paese più arretrate, dove la discriminazione delle donne è normale e la violenza su di loro diffusa. «Nella nostra parte del mondo se un uomo è ricco si sposa più volte — aveva raccontato Fatma Salman tempo fa a una conferenza delle imprenditrici turche —. Mia madre era la seconda moglie ed è morta per le insistenze di mio padre per avere un maschio dopo di me, la seconda figlia. I medici avevano detto che un’altra gravidanza era pericolosa, poteva perfino esserle fatale. Ma la mamma ci disse che voleva solo far felice Sheikh Ahmet Salman, nostro padre, e questo era possibile solo dandogli un erede maschio. Così rimase ancora incinta, partorì la terza bambina, e due anni dopo morì».
La piccola Fatma — raccontò ancora la deputata che non porta il velo — imparò molto da quella lezione. «Fin dall’infanzia avevo chiaro che anche una donna può prendersi cura e guidare la famiglia. Per questo ho studiato, mi sono laureata in Economia, sono entrata in affari e in politica. Ho perfino aperto una fabbrica di mattoni e mostrato a tutti che potevo lavorare tra la polvere e il fango. Volevo essere un esempio per le altre donne, che oggi anche da noi iniziano a lavorare. Ma non basta. Se non aboliamo del tutto il patriarcato la Turchia resterà  indietro di decenni».
La battaglia delle donne come Fatma Salman è ormai in primo piano in Turchia, anche per le pressioni della Ue dopo la richiesta di adesione del Paese. Gli ultimi dati sono allarmanti: dal 2008 i reati sessuali denunciati alla polizia sono cresciuti del 400%, gli stupri nel 2011 sono stati 33 mila (dai 2 mila nel 2002), negli ultimi tre anni i femminicidi sono stati 396 (un dato simile a quello italiano, per altro). Ma in realtà , è il parere di molti, questa impennata di reati indica che finalmente oggi c’è il coraggio di denunciarne gli autori. La ministra per la Famiglia Fatma Sahin, il 25 novembre, ha infatti ricordato che il piccolo call center anti-violenza inaugurato nel 2002 ora è diventato una rete in tutto il Paese, aperta giorno e notte. Programmi di «educazione alla pari opportunità » sono stati lanciati ovunque, con bus attrezzati per arrivare anche nei villaggi. Nelle imprese sono stati organizzati seminari, nuove campagne lanciate. Nel 2004 il codice penale ha definito «reato» la violenza sessuale e lo scorso agosto è passata una nuova legge sulla prevenzione della violenza sulle donne. Il Paese insomma si muove, ma come sempre le leggi sono una cosa, le tradizioni un’altra. E dice molto che alla comparsa di Fatma Salman con quei brutti segni in Parlamento, tutte le deputate le abbiano espresso solidarietà . Tra i colleghi maschi la maggioranza non le ha detto niente, nemmeno una parola.


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