In coda per il pane, strage in Siria
Uccisi mentre attendevano di comprare il pane. Uccisi dal cielo di fronte all’unico forno ancora funzionante in tutta la loro cittadina, quando nel Paese mancano ormai i beni più essenziali. Cadaveri, sangue, pezzi di corpi sparsi per la strada. Resti di donne e uomini confusi tra calcinacci, borse della spesa, sacchetti di plastica, pagnotte, motociclette, automobili in fiamme, attorcigliati tra loro, impolverati, violati. Nei primi fotogrammi un giovane si china a raccogliere brandelli di ciò che resta di un tronco separato dalla testa e dagli arti, lo avvolge nella sua giacca e lo porta via sotto braccio. Tutto attorno è il caos: clacson suonati freneticamente, «Allahu akhbar» (Dio è il più grande) gridati a squarciagola, urla di nomi, pianti, gente che cerca un volto, un parente, il figlio, la madre, vorrebbe aiutare, ma non sa bene come.
Sono le immagini dell’ennesimo video dell’orrore arrivato ieri pomeriggio dalla Siria. Testimoniano in modo terribilmente crudo gli effetti del bombardamento attribuito dai ribelli all’aviazione fedele al presidente Assad contro il villaggio di Halfaya, posto circa 25 chilometri a nordest della città -martire di Hamah, nella regione centrale del Paese. Il bilancio dei morti è ancora confuso. Inizialmente le fonti legate alla brigate rivoluzionarie avevano denunciato sino a «300 cadaveri». Poi, con il passare delle ore, la cifra sembra essere scesa al centinaio, oltre a dozzine e dozzine di feriti. Ciò che rende particolarmente efferato il massacro è che i caccia lealisti hanno preso di mira la folla inerme che stava in fila di fronte ad una panetteria, dove solo poche ore prima era finalmente arrivata la farina. Un testimone sul posto, Samer al-Hamawi, ha dichiarato alle agenzie stampa che un migliaio di persone si erano assiepate ordinatamente in prossimità del forno. «Da almeno tre giorni ci mancava il pane. Quando è girata la voce che la panetteria funzionava sono accorsi in tanti. Non sappiamo quando arriverà la farina un’altra volta», ha specificato. È stato allora che i caccia-killer sono scesi in picchiata con il loro carico di morte. È la tecnica del terrore adottata ormai da molti mesi dai comandi di Damasco. Un modo per punire collettivamente la popolazione. Le brigate rivoluzionarie avevano liberato Halfaya solo cinque giorni fa. E da allora i raid aerei sono diventati una minaccia costante.
Non è comunque la prima volta che viene presa di mira una panetteria. Nelle cittadine e villaggi lungo il confine turco caduti nelle mani dei ribelli sin da metà luglio la popolazione sa bene che è meglio evitare gli assembramenti. A fine settembre nel centro urbano di Azaz gli avventori dell’unico forno funzionante (più volte preso di mira dai lealisti) preferivano attendere il loro turno sparsi discretamente nelle viuzze circostanti. Alla vista dei reporter stranieri chiedevano in coro di non fare filmati ed evitare di menzionare la località . «Altrimenti ci bombardano», spiegavano.
Il nuovo massacro contribuisce ad alimentare l’alone di inutilità e impotenza che accompagna il nuovo viaggio dell’inviato speciale dell’Onu, Lakhdar Brahimi, a Damasco. Arrivato ieri (è la terza volta dalla sua nomina a fine agosto), Brahimi dovrebbe vedere Assad oggi. È latore di una proposta di compromesso mediata tra Washington e Mosca, che vorrebbe garantire una fase di pacificazione transitoria sino alle dimissioni del presidente siriano nel 2014. Ma dal regime non c’è alcun assenso. Anzi, i portavoce del presidente dicono di non essere «neppure informati della visita». Un modo diplomatico per segnalare il rifiuto dell’iniziativa Onu.
Del resto, anche le brigate ribelli rigettano qualsiasi compromesso con il regime. Rafforzate dagli ultimi successi militari sul campo, stanno intensificando l’offensiva verso la capitale. L’aeroporto internazionale si trova ormai nelle zone dei combattimenti ed è quasi del tutto chiuso ai voli civili. Lo stesso Brahimi ha dovuto viaggiare in auto da Beirut.
Lorenzo Cremonesi
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