Impegno, stile e battaglie civili i suoi anni da senatrice “resistente”

by Sergio Segio | 31 Dicembre 2012 9:21

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Un mazzetto di mimose fuori stagione e tanti versi – Lucrezio, Gozzano, Ferlinghetti meritano oggi di essere posti sullo scranno vuoto di Rita Levi Montalcini nell’aula di Palazzo Madama, dove per più di dieci anni, contro tutto e contro tutti, ma senza mai perderne in eleganza e buonumore, questa donna di enorme fama e straordinario ingegno dimostrò con la sua stessa longevità  che Scienza e Politica sono prossime alla Poesia.
E la riprova è che ripensandola vecchietta operosa e impassibile su quei banchi viene da sorridere con la complicità  che si deve a una bambina che non fa capricci, ma da cui puoi aspettarti di tutto, ma sempre in nome della verità . Nominata senatrice a vita da Carlo Azeglio Ciampi nell’estate del 2001 per aver fin lì “illustrato” l’Italia eccetera, l’impressione è che il meglio l’abbia dato al suo paese proprio quando, dichiaratasi assai più felice di questo riconoscimento che del Nobel, dalla tribuna senatoriale Rita Levi Montalcini ebbe l’occasione e sentì il dovere di dire e fare tutto ciò che gli passava per la sua testa, invero molto sapiente e saggia, ma soprattutto libera. Così superò di slancio le ipocrisie, i formalismi, gli interessi, i rapporti di forza e con garbato ardore prese il suo nuovo impegno molto seriamente confermando che tra le cose che più detestava c’era “l’ossequio al potere”. Ma fuori di ogni acrimoniosa demagogia, come scelta di coscienza e in fondo anche di allegria.
Quando arrivò su quei banchi, a 92 anni, s’era già  detta a favore dell’antiproibizionismo e con qualche riserva dell’eutanasia. Se non si rischiasse di fare un torto ad entrambi la si poteva definire una specie di pannelliana “ad honorem”; mentre certi suoi anatemi contro il consumismo, “che ha mortificato ogni valore”, la collocavano all’interno della profezia pasoliniana. Ma più che le convenzionali categorie Levi Montalcini recava in dote alla coscienza civile la meraviglia della ricerca e della scoperta; e poi uno sguardo, un universo, un orizzonte che si spingeva ben oltre l’Italietta con i suoi impicci e le sue magagne. Insieme italianissima, ebrea e cosmopolita osservava le diatribe domestiche, le contorsioni dell’Ulivo e del berlusconismo con la consapevolezza che tutto questo, che pure ai suoi occhi quasi mai era disprezzabile, doveva pur e comunque fare i conti con quel congresso di fisici cinesi, o con il governo mondiale dell’ambiente e tante altre cose che i protagonisti italiani ignoravano.
E tuttavia il dato fantastico, a pensarci bene, è che era donna e che era vecchia. E mai come nella crisi epocale del patriarcato e dinanzi ai disastri di una classe politica maschile e pietosamente giovanilistica, questi due stereotipi si sono rispecchiati in lei rovesciandosi in virtù, cultura, energia lungimirante, ma anche felice differenza di genere, cura e sicura umanità .
Divenuta famosa al grandissimo pubblico, dotata di imitatrici televisive e perfino di compagni che mettevano sul palcoscenico la sua vicenda (“Le parole di Rita”,
con Anna Buonaiuto), ha continuato a occuparsi, come in un eccezionale ordine alfabetico della buona volontà  di acqua, Africa, aids, alhzeimer, amnistia, animali (nel senso dei diritti degli) e mille altre questioni vere e serie che normalmente il potere tende ad espellere dalla sua agenda. Un personaggio che incarnava una grande speranza. Quando raccontava che da piccola si sentiva “fisicamente e intellettualmente inferiore agli altri” (il “genio” semmai era la gemella Paola). O quando con straniante candore proponeva l’abolizione delle pensioni, che a suo giudizio rappresentavano“la pre-morte”, dovendo gli esseri umani lavorare fino a cento anni.
In Parlamento e fuori ingaggiò battaglie – purtroppo non vittoriose – per dare più soldi alla ricerca, favorire i giovani e fermare la fuga dei cervelli. Restituì lo studio di Darwin alla scuola. Votò contro il commissariamento politico del Cnr e si oppose alle legge ad personam. Garantì a Prodi il voto che serviva per far passare la Finanziaria. Per questo stette per ore e ore al Senato, perché era “la cosa giusta”, appena un po’ seccata per aver disertato il laboratorio. Fu allora che i fascisti dissero che le avrebbero portato a casa una stampella. Scrisse allora a Repubblica una lettera molto ferma e dignitosa, da cui non trapelava alcun sentore di vittimismo. Anche in questo caso se lo potè permettere. Sapeva essere magnificamente relativa e assoluta, sostenendo di avere “un totale disinteresse per la mia persona”, e in certi casi aggiungeva: “La morte non esiste per me”. Poi magari sull’argomento era capace di evocare una poesia di Gozzano su una certa papera: “Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!/ Che l’esser cucinata non è triste,/triste è pensare d’esser cucinata”. Che in fondo è un modo per porre uomini e pennuti nella stessa dimensione del vivere e del salutarsi e ricordarsi su questa terra, in attesa di chissà  che cosa.

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