Ilva, la Procura accelera sul conflitto di poteri abbattute trecento pecore avvelenate da diossina

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TARANTO — Gli operai in coda davanti ai cancelli per ritirare il cedolino di messa in mobilità . Trecento ovini caricati su un carro bestiame e destinati al macello. Sono le due immagini di Taranto nella mattinata di ieri, mentre la Procura preparava il ricorso alla Corte costituzionale contro il nuovo decreto legge del Governo, con l’azienda e il ministro Clini che alle telecamere assicuravano invece della bontà  del provvedimento.
La giornata è cominciata con l’azienda che comunicava ufficialmente a 1.400 operai di Taranto la cassa integrazione fino al 3 marzo (e a questi vanno ad aggiungersi i mille colleghi di Genova e i 500 a Novi Ligure). A dettare la decisione, come ha spiegato ieri il presidente del-l’Ilva, il prefetto Bruno Ferrante, la decisione del gip Patrizia Todisco di non provvedere al dissequestro e quindi alla commercializzazione del milione e 700mila tonnellate di acciaio già  prodotto (valore di mercato, un miliardo di euro). Contro la scelta del giudice è però intervenuto il governo, annunciando nella serata di martedì un emendamento interpretativo al decreto legge: «Devono permettere la commercializzazione di quel materiale» ha spiegato ieri il ministro Corrado Clini. Il problema sono però i tempi: Clini ha illustrato il provvedimento ieri in commissione alla Camera, ma ci vorranno giorni per l’approvazione. È possibile che il governo chieda la fiducia per velocizzare le pratiche. Nel frattempo però le merci restano bloccate e gli operai a casa.
«Certo — dicono in Procura — nel momento in cui il decreto verrà  approvato, come è accaduto con il sequestro, dovremo attenerci alla legge». Questo non significa però che i magistrati siano rassegnati: ieri erano al lavoro per scrivere il testo del ricorso per il conflitto di attribuzione da sollevare nei prossimi giorni (dicono tra venerdì e lunedì) alla Corte costituzionale.
I pm, infatti, pensano che il governo con il decreto e con il nuovo emendamento abbia compiuto «un’invasione di campo», come sottolinea anche il presidente dell’Anm, e pm qui a Taranto, Maurizio Carbone. Un’invasione che travalica i limiti imposti dalla Costituzione.
In attesa però della decisione dei giudici della Consulta, l’Ilva ha ripreso la produzione seppur con i freni dovuti al mancato dissequestro del materiale prodotto. «C’è un clima di attesa e preoccupazione — ha detto ieri Ferrante — I rischi per tutti i nostri stabilimenti sono concreti, non vogliamo che la gente perda il lavoro. Non comprendiamo le scelte della magistratura: bloccare un miliardo di euro di beni significa andare contro gli operai». E mentre è in corso il balletto giudiziario, continua l’emergenza sanitaria. Che questa volta tocca anche la catena alimentare: trecento tra pecore e capre contaminate da diossina e Pcb nei pascoli attorno all’area industriale di Taranto sono state prelevate dai veterinari dell’Asl in un gregge di Statte e in uno di Monteiasi per essere abbattute. Mentre cinque tonnellate e mezzo di cozze sono state sequestrate perché coltivate in acqua inquinata da diossina.
Infine, sempre ieri, sei condanne per la morte di un operaio, Antonio Mingolla, ucciso nel 2006 da gas tossici mentre lavorava all’Ilva: per i dirigenti dell’azienda e di una ditta sub appaltatrice, una condanna a due anni e mezzo.


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