Il premier non sarà  in lista Offrirà  un’agenda ai partiti

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ROMA — Un’offerta pubblica e trasparente. Una proposta aperta, sulla quale i partiti (quelli già  presenti in Parlamento ma anche nuove formazioni ancora in progress) possano esprimersi, con un’adesione — se il progetto sarà  ritenuto utile — che evochi il suo programma e, magari, pure il suo nome nelle liste.
È questa l’idea su cui Mario Monti sta riflettendo in queste ore di fortissimo pressing a entrare nella partita elettorale. Ne ha parlato ieri mattina con il capo dello Stato, in un colloquio organizzato in fretta appunto per dissipare il logorante rebus sul suo futuro dopo l’esperienza alla guida del governo tecnico.
La scelta di restare in scena, e in modo più pieno di adesso, non è facile per il professore. Ma le esortazioni ricevute, dall’Italia come da diverse Cancellerie europee, dagli Stati Uniti e perfino dal Vaticano, sono ormai diventate per lui una questione di coscienza. Rappresentano, insomma, una chiamata al dovere che gli rende molto difficile non considerare ogni opzione possibile. Se non altro per un senso di responsabilità  verso il quale Giorgio Napolitano gli ha dimostrato la comprensione e il rispetto di sempre (le voci di dissidi e contrasti tra i due circolate nei giorni scorsi erano fasulle).
Non lo ha incoraggiato né diffidato a muoversi in una direzione o in un’altra, il presidente della Repubblica. Lo ha soprattutto ascoltato, mantenendo il giudizio di principio che aveva espresso il 22 novembre a Parigi: «Un senatore a vita non è candidabile… semmai lo si può consultare dopo il voto». Certo, da allora è cambiato tutto. Gli aspri, e per Monti offensivi, annunci di sfiducia da parte di Angelino Alfano e Silvio Berlusconi hanno mutilato di colpo la speciale maggioranza e materializzato le prospettive di una rincorsa elettorale distruttiva. Alla quale si sono aggiunte lusinghe più o meno spregiudicate (del Cavaliere) e avvertimenti più o meno impulsivi (del Partito democratico e di Massimo D’Alema in particolare).
In una situazione così grave, ha confidato il premier nel lungo incontro al Quirinale, non me la sento di chiamarmi fuori. E, fermo restando che non gli sembra praticabile l’ipotesi di candidarsi personalmente a un collegio per poi optare per Palazzo Madama così come eventuali dimissioni da senatore a vita (perché una simile mossa potrebbe offendere chi lo ha nominato, vale a dire Napolitano), ecco che Mario Monti ha cominciato a valutare altre possibilità .
Il punto risolutore del suo ragionamento è legato a una serie di domande, cui gli è parso di trovare una provvisoria, per lui comunque già  fin d’ora convincente, risposta: 1) è davvero necessario farsi eleggere direttamente per avere quello che si dice «mandato popolare»?; 2) il vaglio dei cittadini non potrebbe avere altrettanto valore se fossero invitati a esprimersi sulle idee, ciò che potrebbe avere un significato di antidoto in una fase in cui tutti si concentrano troppo sulle leadership e troppo poco sui programmi, soprattutto sulla loro reale sostenibilità  economica?
Partendo da qui Monti ha maturato, senza però decidere ancora, una soluzione dai contorni che restano da definire ma in grado di preservare al massimo, per quanto possibile, il suo profilo di terzietà . Pensa cioè alla presentazione di un memorandum per il Paese — chiamiamolo così — nel quale inserire le riforme avviate e ancora da perfezionare, insieme ad altre da mettere in cantiere ex novo.
Una proposta aperta, dunque. Nello spirito di saggiarne il consenso tra le forze politiche, vedendo chi condivide la configurazione di massima del programma e consentendo a chi ci sta di schierarsi. A costo che in qualche lista e simbolo sia evocato esplicitamente anche il suo nome, se necessario, ma senza alcun accordo bilaterale a priori e senza alcuna esclusione. Né guardando al centrodestra né al centrosinistra.
In definitiva: i partiti, vecchi e nuovi, potrebbero stabilire e dichiarare la loro vicinanza a un’ipotetica agenda Monti e gli italiani votare su di essa. E il vaglio popolare sulla coalizione di liste che dovesse formarsi, e il relativo mandato a governare, sarebbe in ogni caso esplicito.
Davanti a questo scenario, Giorgio Napolitano si è limitato all’ascolto. Perché saranno i fatti a dare presto concrete motivazioni al progetto.
Qualche motivata preoccupazione, tuttavia, il presidente della Repubblica la mantiene. Per esempio quella che, nella prospettiva di un confronto pubblico destinato a polarizzarsi sempre più spietatamente tra il centrodestra e il centrosinistra, un ipotetico cartello di partiti aggregati e mobilitati in tempi strettissimi nel nome di Monti, e per il suo programma, finisca per raccogliere una soglia di consensi non adeguata (che al momento qualcuno azzarda oscilli soltanto in una forbice compresa tra il 10 e il 15 per cento).
Può bastare un simile risultato — si chiede il capo dello Stato — a garantire al professore la forza necessaria per essere in campo con reali chances di imporsi? Non c’è il rischio che ne esca indebolita una figura super partes che proprio lui ha protetto per tutto questo difficile 2012 e che sarà  indispensabile coinvolgere, perché sorretta dalla stessa urgenza dei fatti, anche nella prossima legislatura?
Marzio Breda


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