Il premier mantiene la distanza «Ci hanno lasciato molto da fare»

by Sergio Segio | 13 Dicembre 2012 7:31

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ROMA — Si commentano solo le cose credibili: il Professore alla guida di una coalizione che includa la Lega lo è? Si reagisce a delle posizioni politiche che magari non si condividono, ma che si ritengono legittime: è legittimo cambiare idea nel giro di 48 ore, facendo di Monti una pedina cui cambiare ruolo a seconda delle convenienze del momento?
A Palazzo Chigi non si ottengono risposte, si ascoltano delle domande. Forse assertive, ma domande. Tutte insieme costruiscono un silenzio. E un no comment può significare in questo caso tante cose. L’assenza di una reazione a caldo, alle parole del Cavaliere, vale una presa di distanza, la consapevolezza che alcune parole si commentano da sole, che è meglio non concedere ribalta ulteriore a delle dichiarazioni sulle quali, per il momento, si preferisce sorvolare.
Alle nove di sera Mario Monti è a Bruxelles, nella sua residenza belga, prepara le ultime carte prima della giornata di oggi. Sarà  intensa: un incontro con Josè Manuel Barroso, una conferenza al centro di studi Bruegel, che ha diretto negli anni passati, una colazione con l’ambasciatore italiano Nelli Feroci, per preparare il Consiglio europeo del pomeriggio e di domani.
A chi lo chiama da Palazzo Chigi il capo del governo dice che non ha voglia di rispondere alle ultime proposte di Berlusconi, non è il caso. Ne prendiamo atto, dicono nel suo staff, con un filo di stanchezza e di ironia allo stesso tempo. L’impressione non è tanto la mancanza di voglia, semmai la considerazione che non meritano proprio una riflessione, almeno pubblica: nel giro di poche ore il capo del governo è divenuto prima un bersaglio, quindi di nuovo un possibile candidato dello schieramento dei moderati.
Persino l’ex premier fa dell’ironia sulle proprie contraddizioni: «Vuole la risposta del pomeriggio, della sera, di ieri o di oggi», dice a Vespa, mentre il premier è in volo per Bruxelles. L’ennesima piroetta del leader del Pdl proietta semmai Monti verso una riflessione ancora più appartata: «Sul suo futuro deciderà  da solo, come sempre e non prima delle dimissioni», aggiungono nel suo entourage, spiegando che anche dopo aver rimesso il mandato nelle mani di Napolitano il presidente del Consiglio potrebbe prendersi ancora qualche giorno per sciogliere la riserva sul suo futuro.
Se accadrà  prima o subito dopo Natale è insomma ancora da vedere: alcune variabili incideranno sul timing; la data esatta dello scioglimento delle Camere, quella delle dimissioni dopo l’approvazione della legge di stabilità , la conferenza stampa di fine anno, per il momento fissata per venerdì prossimo, ma passibile di essere posticipata, se sarà  necessario.
L’unica cosa certa al momento è che le pressioni sono diventate fortissime e praticamente «universali», aggiungono a Palazzo Chigi: dinamiche che se da un lato lusingano, dall’altro aumentano la necessità  di una riflessione personale distante da condizionamenti, di ogni tipo, anche quelli che si ritengono benvenuti. Quante persone scontenterà  Monti se dovesse decidere di restare solo un senatore a vita? L’elenco è lunghissimo, praticamente sterminato. Ieri è stato l’ambasciatore americano a Roma, Thorne, a rinnovare gli auspici di Washington, che non da oggi cerca di stimolare un coinvolgimento diretto del Professore nella prossima legislatura.
Di certo ha cambiato nuovamente gli scenari la decisione della Lega di osteggiare una ricandidatura di Berlusconi, che così perde non solo un alleato, ma anche la possibilità  di «una narrazione» da reale candidato a Palazzo Chigi, per dirla con il lessico di Vendola. Dinamiche che fanno lievitare l’esigenza di un progetto serio di ricostruzione di un polo italiano ancorato al Ppe europeo: e chi se non Monti potrebbe metterlo in campo, si chiedono e gli chiedono in tanti, ancorché ignari delle sue intenzioni.
Ieri il capo del governo è intervenuto ad un convegno della filiera delle imprese automobilistiche, ricordando che il governo precedente ha lasciato «moltissimo» da fare nel campo delle riforme, invitando chi critica le misure adottate dai tecnici ad «una maggiore prudenza» ed ammonendo sulla necessità  di «non lasciare a metà  strada le riforme avviate: peggio che non averle fatte». Riferimenti velati, diplomatici, alle accuse ricevute dal Pdl.
Come altri: Monti rimarca l’importanza della «credibilità » internazionale anche per favorire l’export. Sottolinea come il processo di «lenta erosione» della competitività  sia stato per anni «sottovalutato». Mentre alle critiche mosse da Alfano, risponde con pacata fermezza: a chi dice che la situazione è peggiorata faccio notare che servirebbe una maggiore «prudenza», le riforme hanno bisogno di tempo per dare dei benefici. Mentre «negli anni alcune riforme sono state fatte, anche dal precedente governo, ma lasciando moltissimo da fare».
Mentre il Paese, conclude, oscilla spesso fra «l’autodenigrazione» e alcuni «soprassalti di indignazione» quando sono gli altri a criticarci. A suo giudizio, invece, bisognerebbe sentirsi tutti «corresponsabili» delle quotazioni che l’aggettivo «italiano» ha fuori dai confini nazionali.

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