Il populismo e l’agenda europea

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Gli uni evocando generiche speranze di «un po’ più di crescita nel rigore» (un ossimoro); gli altri invocando improbabili fughe in avanti verso modelli sociali ritenuti più avanzati, dando frettolosamente per defunto un modello di sostegno della domanda aggregata attraverso consumi pubblici e sostenibili. Gioco forza, se vuole vincere, la sinistra è ora costretta ad affermarsi come la sola forza che è in grado di sostenere con autorità  e competenza il superamento dell’agenda euromontiana. Che l’istanza berlusconiana sia priva di credibilità  è facile a dimostrarsi. Il problema è invece quello di sostanziare l’istanza alternativa.
E’ straordinario, a mio avviso, come la sinistra italiana si stia facendo sfuggire l’occasione di farsi rappresentante di una Europa progressiva che intende uscire dalla crisi. L’obiettivo di un governo che si ponesse con autorità  alcuni significativi e ineludibili passaggi per risolvere la crisi europea, dando al contempo una mano all’economia globale, raccoglierebbe infatti simpatie in ambienti politici ed economici a livello internazionale.
Attorno a una certa lista di proposte v’è infatti un consenso dei migliori economisti europei, e troverebbe appoggi anche in sede G20: garanzia illimitata della Bce a sostegno dei debiti sovrani e sua graduale riforma in direzione simile alla Fed; adozione di una regola fiscale europea basata sulla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil e coordinamento delle politiche di bilancio in direzione opposta alle politiche di austerità ; adozione di strumenti di risoluzione della presente crisi bancaria e unione bancaria; politiche europee di sostegno alla competitività  dei paesi periferici.
Non si tratta di un programma avventurista, ma del semplice buon senso se si vuole cominciare a uscire da questa crisi evitando una devastazione politico-sociale della periferia europea e problemi all’economia globale. Gli ostacoli politici a livello europeo sono naturalmente formidabili, costituiti dal pervicace attaccamento della Germania al suo neo-mercantilismo, e della posizione succube della Francia. La questione per il nostro paese è quella di pura e semplice sopravvivenza come paese sviluppato, e quindi di responsabilità  nazionale, ma facendo il proprio bene si farebbe anche quello dell’intera Europa. Perché il Pd non raccoglie le migliori menti europee – e magari quegli economisti che in Italia hanno visto meglio e prima come stavano le cose – a sostegno di un avanzato programma economico da costituirsi come l’agenda europea del futuro governo italiano? Perché invece di rassicurare la stampa internazionale con il solito «tranquilli, faremo i bravi ragazzi», non cerca di crearsi una immagine come di chi vuole salvare un’Europa sociale e finanziariamente stabile a fronte di coloro che la stanno devastando? Perché non si dice con forza che solo andando verso un’Europa diversa, le pulsioni demagogiche di Berlusconi possono essere combattute? Un arroccamento verso un pro-europeismo acritico e passivo, quale v’è da temere emergerà  nel centro-sinistra, sarebbe la peggior risposta al Cavaliere. E auspicabile, infine, che i compagni della lista arancione si attrezzino mobilitando le competenze disponibili – in primis degli economisti critici che si sono più spesi durante questa crisi – per dare una immagine di competenza e concretezza a fronte della problematica europea. Solo così da loro potrebbe venire un pungolo efficace alla “sinistra di governo” per uscire dall’europeismo dell’austerità , oltre che una risposta popolare all’altezza delle sfide.


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