by Sergio Segio | 12 Dicembre 2012 7:49
In questi giorni un paio di notizie colpiscono particolarmente: il Pil italiano calerà oltre le attese nel 2012 e nel 2013 e contemporaneamente il pareggio di bilancio viene posticipato al 2014. È la trappola del debito che continua ad agire in tutta Europa e non solo. L’Istat ci informa che quasi un italiano su tre è a rischio povertà , circa il 20% non riesce a scaldare la casa adeguatamente. Effetti collaterali si dirà , l’importante è aver stabilizzato il settore finanziario, poi il resto lentamente verrà grazie al mercato. La realtà è un’altra. L’austerity genera povertà e debito e non guarisce dalla crisi. Il malato continua a essere curato con lo stesso farmaco che ha provocato la malattia. Segnali significativi in tal senso provengono dal settore bancario italiano, un comparto che in questi anni ha goduto di una relativa tranquillità , se paragonato al contesto internazionale. Gli effetti della recessione mordono dal basso il sistema creditizio. Le attività bancarie non legate al trading finanziario stanno vivendo una contrazione e una crisi di redditività , intreccio sintomatico di un meccanismo in corto circuito. A fronte di una finanza ombra che il Financial Stability Board denuncia aver superato i livelli pre-crisi, passando dai 62.000 miliardi di dollari nel 2007 ai 67.000 di oggi, si registra una crescente difficoltà nelle attività di credito tradizionale, quelle rivolte a imprese e cittadini. L’incremento dei crediti deteriorati, cioè quell’insieme di incagli, sofferenze ed esposizioni ristrutturate, che vanno dai clienti in difficoltà a quelli in stato di insolvenza, sono in continua crescita: il dato complessivo a giugno rappresenta il 12,3% del complesso delle attività di prestito, con un incremento su base annua del 17%. Per le quattro principali banche italiane questo handicap ammonta a 166 miliardi di euro. Insomma la finanza cattiva riprende un ritmo preoccupante e quella “buona” subisce la crisi reale, contribuendo ad approfondirla ulteriormente. Diverse banche sono costrette a ricapitalizzare per rispettare i coefficienti di patrimonializzazione imposti dal sistema di regolamentazione. Per non parlare del continuo sostegno pubblico al sistema creditizio su scala internazionale. Alcune domande. Veramente il peggio è passato o il corto circuito tra sovraproduzione, polarizzazione della ricchezza, iperfinanziarizzazione degli investimenti, salvataggio pubblico delle perdite private è ancora largamente in corso? Possiamo ancora credere alla favola del privato come miglior allocatore delle risorse o dobbiamo ripensare una finanza pubblica e controllata dal basso? Accettiamo che anche in Italia come in Grecia ci siano anni e anni di recessione o cominciamo a dire che il debito può non essere pagato?
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