Il Pdl ancora nell’incertezza E resta l’ipotesi della scissione

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ROMA — La tensione è grande, quanto l’attesa. Che si sciolga il nodo della discesa in campo di Monti, ed eventualmente a quali condizioni. E che si chiarisca una volta per tutte se Berlusconi, in caso di defezione del premier, manterrà  la sua candidatura o passerà  la mano.
Il quadro è ingarbugliato, e il clima nel Pdl resta pesante. Perché per ora il Cavaliere riesce a tenere un partito che sta andando in troppe direzioni diverse, ma nel prossimo futuro le spinte centrifughe potrebbero avere la meglio, aprendo la strada alle scissioni: quelle dei centristi, quelle dei suoi fedelissimi e quelle della destra del partito.
La sua mossa di pronunciare chiaro e forte l’endorsement per Monti anche davanti alla platea dei leader del Ppe si è sovrapposta alle posizioni dell’ampia area dei moderati, che coincide perfettamente con i maggiori sostenitori di Alfano, che si riuniranno domenica al convegno ribattezzato «Italia Popolare» che vedrà  protagoniste le fondazioni di Frattini, Quagliariello, Sacconi, Alemanno, Formigoni, Lupi, Cicchitto, Urso. Con la presenza del segretario, e con il quadro ancora in evoluzione, l’evento che avrebbe potuto avere una forte carica anti berlusconiana ispirandosi al Ppe e a Monti, ora resta nel solco dello slogan «rifondiamo il Pdl all’insegna dei valori europei».
E’ comunque un segnale che Berlusconi non ha affatto sottovalutato né apprezzato quello di un’ampia area del partito che si è mossa per favorire l’eventuale discesa in campo di Monti. E anche se con il suo appoggio diretto il rischio di rottura sembra per ora scongiurato, il clima di diffidenza reciproca aumenta, e solo le contrapposte debolezze impediscono che la lacerazione si compia. Perché, dicono anche i filomontiani, se il premier scendesse in campo «difficilmente potrebbe farlo senza avere con sé tutto il Pdl», ma se invece da lui arrivasse un niet nei confronti di Berlusconi «qualche spaccatura nel correntone potrebbe esserci, più d’uno potrebbe essere tentato dal seguire Monti mollando il Cavaliere». Altri resterebbero dove sono, presidiando i propri posti, contando sulla necessità  a quel punto di Berlusconi di non cacciare nessuno e non fare rivoluzioni a poche settimane dal voto. La cautela di Alfano negli ultimi giorni, il suo silenzio pubblico, danno il segno della grande difficoltà  del passaggio.
Ma anche nel campo dei fedelissimi del Cavaliere c’è preoccupazione e sconcerto. Brunetta — che potrebbe a sua volta riunire un’area di pasdaran e scontenti già  domenica — fa la faccia feroce a chi gli chiede commenti in tivù, la Biancofiore avverte che «Berlusconi è il nostro candidato premier», Galan sbotta: «Non voglio morire democristiano con Monti, voglio Forza Italia!». E tanti si dicono convinti che alla fine Monti non scenderà  in campo, e resterà  solo il Cavaliere. Ammaccato da giravolte non facili da spiegare all’elettorato, senza più l’arma di una campagna elettorale tutta anti montiana, ma comunque «indispensabile per raggiungere il 20%».
In questo quadro agitato è ancora da decidere il destino degli ex An che fanno capo a La Russa e Gasparri. Il primo, il più convinto del bisogno di far nascere una forza di destra, è ancora attendista: «Vediamo gli sviluppi della situazione. Monti? Se dice che guida il centrodestra in alternativa alla sinistra, per me non è un problema seguirlo. Se fosse altro, chiaro che non ci interesserebbe. E che ci sarebbe molto spazio per una componente identitaria che si richiama ai valori della destra». Se invece tutto restasse com’è ora, allora sarebbe possibile il varo della creatura, magari assieme a quella Giorgia Meloni che ancora non ha scoperto le sue carte, e che anche lei domenica sarà  a convegno con Crosetto e Cattaneo.


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