Il decreto pigliatutto di Morsi ricompatta il fronte dei laici

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IL CAIRO. Con il decreto pigliatutto del 22 novembre scorso, il presidente Mohammed Morsi ha imbavagliato la magistratura egiziana che si è rifiutata a maggioranza di supervisionare il referendum costituzionale. In quei giorni, Morsi aveva sfruttato il successo mediatico del ruolo egiziano nel favorire un accordo per il cessate il fuoco tra Hamas e governo israeliano, per mettere in ombra le laceranti divisioni tra i partiti politici egiziani che sedevano nell’ Assemblea costituente. La legittimità  dell’Assemblea era già  stata messa in discussione dalla sentenza della Corte costituzionale che ha disposto lo scioglimento del parlamento lo scorso giugno e in seguito dalla defezione dell’ultim’ora dei partiti laici e dei cristiani copti che non hanno approvato la bozza definitiva della nuova Costituzione egiziana.
E così il decreto Morsi ha mobilitato la società  civile e politica egiziana. Ma i calcoli del presidente islamista si sono rivelati lungimiranti almeno per una ragione. Il ritiro del decreto ha permesso che in fretta e furia la tornata referendaria avesse luogo nelle date del 15 e 22 dicembre. In base ai risultati provvisori, al primo turno, i «sì» si sono attestati intorno al 56%, una percentuale deludente se confrontata con i risultati recenti del partito Libertà  e Giustizia, emanazione dei Fratelli musulmani. Tuttavia, denunce di brogli sono arrivate da movimenti laici e socialisti. È stata aperta un’indagine dalla Commissione elettorale per i ritardi all’ingresso di alcuni seggi e l’assenza di giudici, ma per ora l’inchiesta è stata accantonata con il non luogo a procedere. Se dopo la chiusura delle urne, la vittoria dei «sì» fosse confermata con uno scarto così risicato, metterebbe in chiara luce il malcontento popolare verso l’immobilità  della presidenza Morsi e del governo del primo ministro Hesham Qandil.
Di sicuro, questo atteggiamento autoritario di Morsi ha unito la frammentata opposizione egiziana che finalmente ha deciso di non boicottare i seggi e di schierarsi per il «no». I partiti laici del Fronte nazionale di salvezza (Fns), gli shebaab, il cosìddetto popolo della rivoluzione che continua ad occupare piazza Tahrir, i cristiani copti, i sindacati hanno saputo mobilitare, soprattutto nelle grandi città , centinaia di migliaia di persone e far sentire la propria voce contro una Costituzione imbevuta di islamismo. Un buon risultato dei «no», costringerebbe i Fratelli musulmani a rivedere il proprio modo di intendere l’azione politica e strategica, auspicando azioni più consone a procedure democratiche. Gli islamisti moderati dovrebbero rivedere la propria agenda politica, uscire dal guscio protettivo di un movimento ormai non più segreto e perseguitato come è stato per gli ultimi ottant’anni. Potrebbero confrontarsi con la società  civile laica, seguendo una via democratica e non forzando la mano per imporre i propri interessi. Paradossalmente, i Fratelli musulmani, per l’ostracismo e la repressione che hanno subito per decenni, dovrebbero capire l’importanza di avere una Costituzione garantista delle pluralità  e delle diversità  presenti nel paese, dell’equilibrio dei poteri tra magistratura, governo, parlamento e presidenza.
Tuttavia, l’Fns non ha ancora una struttura unitaria né un’adeguata presenza sul territorio. Solo con una profonda riforma e una discussione sui temi principali in agenda, le opposizioni potrebbero diventare un’alternativa politica al partito Libertà  e Giustizia. In questo senso, il referendum potrebbe chiarire quanto Morsi abbia diviso il paese, come era successo durante le elezioni presidenziali del giugno 2012, quando il 48% degli egiziani ha votato per l’ultimo primo ministro di Mubarak, Ahmed Shafiq. Forse Morsi era convinto che le divisioni e le debolezze degli altri partiti avrebbero giocato a suo favore. Invece, è riuscito a favorire un accordo tra le opposizioni che appariva impossibile. Mohammed el-Baradei, Amr Mousa e Hamdin Sabbahi finalmente si sono espressi con una sola voce.
L’Fns si è opposto all’attuale testo costituzionale perché concede eccessivi poteri al presidente, estende l’applicazione della legge islamica nel diritto ordinario, accresce le competenze del centro dell’Islam sunnita, la moschea di al-Azhar, lascia ampi margini di interpretazione a giudici e politici sul ruolo della famiglia e della donna nella società . Il timore delle opposizioni è che tale architettura costituzionale potrebbe corrispondere a derive autoritarie peggiori dei trent’anni di governo dell’ex presidente Hosni Mubarak.
Infine, Morsi e la Fratellanza hanno giustificato la dichiarazione costituzionale come unico modo per evitare che il processo democratico si arenasse e che tornasse la stabilità . In realtà , l’imposizione di una data così ravvicinata del Referendum in un clima di tale tensione e spaccatura politica ha impedito ogni tentativo di dialogo tra islamisti e opposizioni. I Fratelli musulmani proseguono il loro cammino verso l’applicazione di un programma neoliberista che assecondi i progetti degli Stati uniti nella regione e non favorisca le riforme economiche e strutturali di cui ha bisogno un paese in crisi come l’Egitto. Ma nella strada del cambiamento potrebbero trovare ostacoli inattesi.


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