Il Colle: legislatura perduta La parola tornerà  ai politici

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ROMA — «Mio malgrado mi trovo a dovere chiarire che su di me ricadrà  un compito nettamente diverso da quello che mi toccò di assolvere nel novembre del 2011», dice il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in uno dei passaggi chiave del suo discorso alla cerimonia per lo scambio di auguri tra le alte cariche dello Stato, una sorta di bilancio del suo settennato che si concluderà  nella prossima primavera. Allora si giunse, ricorda nella sala degli arazzi del Quirinale, «a una soluzione fuori dell’ordinario, ma non senza precedenti, e certo nell’ambito costituzionale della democrazia parlamentare, quando mi studiai di evitare l’aprirsi in modo traumatico di un vuoto istituzionale e il precipitare verso elezioni anticipate in una fase critica e pericolosa per la posizione non solo finanziaria dell’Italia».
Valutazioni
Ebbene oggi quella condizione non c’è più, nonostante la legislatura si stia chiudendo in anticipo rispetto alla naturale scadenza. Ora, sottolinea, «non c’è chi non veda come si stia per tornare a una naturale riassunzione da parte delle forze politiche del proprio ruolo, sulla base del consenso che gli elettori accorderanno a ciascuna di esse. E sarà  quella la base su cui poggeranno anche le valutazioni del capo dello Stato». Insomma, sarà  il presidente in carica quello che avrà  l’onere di indicare chi formerà  l’esecutivo, tenendo conto dei risultati elettorali. Napolitano chiarisce ancora una volta che non sarà  disponibile a farsi rieleggere, in ciò confortato dalla opinione di un illustre costituzionalista e presidente della Consulta, Livio Paladin (citato espressamente dal Capo dello Stato), il cui pensiero è stato la fonte ispiratrice dei «cosiddetti governi del Presidente», quale appunto è quello formato da Monti. Napolitano rileva alcune note dolenti, accanto alle innovazioni introdotte nel nostro ordinamento per effetto delle intese in sede europea (il pareggio di bilancio in Costituzione) e ai «provvedimenti severi sul piano del rigore fiscale e sul piano delle riforme coerenti con un comune disegno europeo». E riguardano in particolare «l’avere perduto una legislatura» perché non si è riformato il sistema politico.
Fallimento
Non si è riusciti, denuncia, neppure a realizzare «modeste modifiche mirate, frutto di un’intesa minima». I costi della politica e quello connesso dei trattamenti riservati ai parlamentari «hanno formato oggetto di decisioni discutibili ma non trascurabili e da non svalutare, la cui eco è stata soverchiata dal clamoroso esplodere di indegni abusi di danaro pubblico commessi da numerosi eletti nei consigli regionali». È mancato anche, «sotto il profilo della moralità , una riqualificazione dei partiti politici, secondo le regole coerenti con il dettato costituzionale». Ma la cosa più grave è stato il «fallimento della riforma elettorale, su cui pure la Corte costituzionale aveva sollevato seri dubbi di legittimità ». Tanto più grave perché ciò è avvenuto dopo i ripetuti richiami del capo dello Stato e delle tante voci della società  civile e del mondo del diritto: «Sono prevalse le peggiori logiche conflittuali: diffidenza reciproca, ambiguità  di posizioni mutevoli, tatticismo esasperato. Insomma, nessuno potrà  fare a meno di darne conto ai cittadini-elettori e la politica nel suo insieme rischia di pagare un prezzo pesante per questa sordità ».
Rassicurazioni
La preoccupazione di Napolitano è che il fuoco polemico tra i partiti impegnati nella competizione elettorale bruci «il recupero di fiducia nell’Italia che si è manifestato negli ultimi tempi in Europa, nella comunità  internazionale e negli stessi, pur poco trasparenti, mercati finanziari». Ecco perché ammonisce: «Attenzione in gioco è il Paese, è il nostro comune futuro e non solo un fascio di voti per questo o quel partito». Tuttavia, la campagna che sta per aprirsi in Italia costringerà  ogni forza politica al «dovere della proposta e all’onere di provarne la sostenibilità ». E poi, rivolto ai partner europei, Napolitano cerca di rassicurarli garantendo che «per la posizione dell’Italia in Europa il cammino è segnato», ed è quello verso «una maggiore integrazione economica e politica che è nel solco della nostra storia».


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