by Sergio Segio | 5 Dicembre 2012 7:23
Di più: di un cambiamento continuo delle proposte, che scaturisce sia dalla frattura profonda tra il fondatore e il gruppo dirigente; sia dall’incertezza, alimentata dallo stesso Berlusconi, sull’eventualità di una sua lista che spaccherebbe il partito; sia, soprattutto, dal sospetto che il caos sia una strategia per arrivare ad un nulla di fatto e votare con la legge attuale. Le riunioni di ieri sera dei gruppi parlamentari del Pdl e del Pd hanno mostrato quanto la soluzione potrebbe essere vicina.
Eppure continua a sfuggire. E il fatto che oggi la riforma elettorale sia scomparsa dalla discussione nell’aula del Senato conferma trattative febbrili e inconcludenti. Il leader del Movimento 5 Stelle, il comico Beppe Grillo, sembra sicuro che alla fine un’intesa verrà trovata. «È in atto una corsa dei partiti contro il tempo», accusa, «per eliminarci dalle politiche del 2013». Ma il risultato potrebbe essere opposto: dare ulteriore spinta al grillismo grazie ad una clamorosa dimostrazione di impotenza. Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, vede un Parlamento «di nuovo sulle sabbie mobili».
Il suo dirimpettaio e vice del Pdl, Gaetano Quagliariello, afferma che tutto nasce da un contrasto che riguarderebbe «tre o quattro seggi in più o in meno». In realtà , a dividere continuano ad essere le preferenze, chieste dal centrodestra e dall’Udc ma escluse dalla sinistra; e un tetto di spesa che il Pd vuole limitare per scongiurare una «campagna permeabile da parte di organizzazioni criminali e finanziamenti occulti». Il dito è puntato su Berlusconi in persona. «La colpa è sua e della confusione che regna nel Pdl», insiste Finocchiaro. La stessa Udc si prepara a scaricare su di lui un fallimento.
«Che ci sia un voto in Aula e ciascuno si assuma le proprie responsabilità », chiede Pier Ferdinando Casini. «Così gli italiani sapranno chi ringraziare se anche stavolta non potranno scegliere i parlamentari», aggiunge alludendo alla possibilità che rimanga l’attuale legge elettorale: un sistema che permette ai leader di «nominare» deputati e senatori, a seconda dell’ordine secondo il quale sono messi in lista. Le tensioni sulla data delle elezioni contribuiscono a rinviare una decisione. Il centrodestra vorrebbe unificare le politiche alle regionali fissate per febbraio; ma non è chiaro come ci si possa arrivare.
Per riuscirci, il Pdl ha di nuovo ventilato una crisi del governo di Mario Monti. La ragione ufficiale è che il cosiddetto election day farebbe risparmiare soldi. Quella politica è che il Pdl teme una sconfitta a tappe. E insegue un’alleanza in Lombardia con la Lega nel segno di Roberto Maroni governatore. Ma il Carroccio appare, a dir poco, freddo. E il «no» di Bersani a questa ipotesi rende la pretesa del centrodestra meno praticabile. «Parlare di election day senza capire che significa è difficile», ironizza il segretario del Pd. Sa che la partita berlusconiana è sempre più intricata, e non ha intenzione di facilitarla.
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