Il Canada rinuncia agli F-35. Noi no
L’F-35, Joint Strike Fighter, dovrebbe diventare la spina dorsale delle aviazioni statunitense e di una decina di Paesi alleati, compresa Turchia ed Israele. È nato per trasformare la tecnologia “stealth”, quella che permette di non essere individuati dai radar nemici, in un prodotto a basso costo ma proprio il prezzo è diventato il punto debole del progetto.
Un po’ di storia. Lanciato all’inizio degli Anni Novanta, l’F-35 doveva sfruttare le ricadute tecnologiche dell’F-22, il primo caccia che utilizzava questa tecnologia ( in pratica una esclusiva statunitense), per creare una flotta multiruolo utilizzabile da aviazione, marina e corpo dei Marines (con una versione a decollo verticale che interessa anche la nostra aeronautica militare).
Il gran numero previsto, e la partecipazione degli alleati alle spese di sviluppo, doveva abbattere il prezzo finale intorno ai 65 milioni di dollari a esemplari, un terzo di quello di un F-22. Ma con una decina d’anni di ritardo accumulato, il prezzo è salito a 150-180 milioni. E primi caccia saranno operativi solo nel 2020. Con il ritiro del Canada dal progetto i costi aumenteranno con il rischio del ripensamento di altri Paesi. E così via, quella che gli analisti descrivono come un “death spiral”, un avvitamento mortale.
Secondo Giordano Stabile dalle colonne de La Stampa “nella decisione del Canada ha pesato anche la testimonianza di Steve Lucas, già Chief dell’Air Staff dell’aviazione canadese, che ha rivelato come la raccomandazione del caccia da parte dei vertici militari trascurò di proposito «informazioni chiave». La decisione del governo canadese di ordinare i 65 F-35 venne presa nel 2006 senza nessuna gara con possibili concorrenti. I principali sono l’Eurofighter Typhoon (in dotazione anche dell’Italia e prodotto da un consorzio di aziende europee) e il Rafale della francese Dassault”.
Nessuno dei due, però, è dotato di tecnologia “stealth”. Ma proprio sull’effettiva “invisibilità ” dell’F-35 sarebbero sorti importanti dubbi in Canada. Rispetto all’F-22 il Joint Strike Fighter sarebbe molto meno efficace nell’ingannare i radar. Altri punti deboli, oltre al prezzo esorbitante, sono la scarsa capacità di carico offensivo in modalità “stealth”, la velocità di punta modesta e la scarsa autonomia. Quest’ultimo punto potrebbe spingere anche l’Australia a ritirarsi. Dubbi crescenti ci sono anche in Olanda ma non in Italia, nonostante i tempi di austerità e tagli della spesa pubblica.
Il Parlamento del nostro paese, infatti, con il voto di martedì 11 dicembre ha perso l’occasione di bloccare l’azione di chi vuole sempre più soldi per le armi e di rimettere al centro di una discussione comune e partecipata (sia in ambito istituzionale che nella società civile) il modello di difesa e di sicurezza più utile ai cittadini italiani. Ed ha votato sia a favore degli F35 che dell’aumento delle spese militari con una maggioranza schiacciante (294 sì, 53 astenuti e solo 25 no) coronando di successo l’intenzione del ministro ammiraglio Giampaolo Di Paola. “È riuscito a ottenere questa riforma in poco più di sei mesi, mentre i provvedimenti di risparmio sulle Province e anche la modifica della legge elettorale giacenti in Parlamento sono saltati per mancanza di tempo. Nel 2013 il comparto della Difesa riceverà in dote un miliardo in più del 2012, alla faccia di tutti i tagli operati sulla spesa pubblica per altre e maggiori necessità come sanità , lavoro, welfare”.
Ma c’è chi dice no. Savino Pezzotta (UDC per il Terzo Polo), tra gli altri, scrive: “Sono profondamente turbato sia sul piano umano che su quello etico nel vedere che mentre ci sono milioni di persone e famiglie che si accollano sacrifici pesanti e per molti al limite della sopportabilità , che mentre non riusciamo a trovare congrue risorse per il lavoro né per contrastare la povertà che sta mordendo con i suoi denti acuminati migliaia di persone e famiglie, si impegnino i soldi degli italiani, compresi quelli di chi si è accollato i sacrifici, per acquisire dei costosissimi caccia bombardieri”. In dissenso con il suo gruppo parlamentare anche Andrea Sarubbi. E noi? Stiamo con i dissidenti!
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