by Sergio Segio | 13 Dicembre 2012 9:32
ALEPPO — La notizia è già sulle bocche di tutti, anche di chi combatte al fronte. Di certo non suscita entusiasmo né stupore. Ma soltanto sarcasmo. «Obama, bontà sua, ha finalmente deciso di riconoscerci? Beh, adesso bisogna vedere se noi vorremo riconoscere lui», dice Ahmed Najar, con lo sguardo fisso nel buco della parete dove ha infilato la canna del suo kalashnikov, dal quale, con ritmo cadenzato, spara raffiche rabbiose. Siamo nel quartiere di Bustan al Basha, all’ingresso nord di Aleppo: sono le 9 del mattino, e da pochi minuti, contro la scuola di fanteria di Msalmiya, dove la brigata di Ahmed ha recentemente conquistato la metà degli edifici, s’è scatenata l’offensiva delle forze del regime. Prima che scoppiasse la guerra Ahmed studiava ingegneria. Ha i capelli lunghi e ricci, domati da una bandana nera che gli stringe la fronte. «Il presidente americano poteva pensarci prima», prosegue. «Ha invece preferito aspettare che ci fossero quarantaduemila morti e un milione di profughi».
Torniamo ad Aleppo dopo quasi quattro mesi. Nei quartieri che attraversiamo, tutti nelle mani degli insorti, è cresciuto a dismisura il numero dei palazzi scapitozzati o interamente distrutti dalle bombe sganciate dai caccia di Damasco, le montagne d’immondizie si sono fatte più imponenti e s’allungano sempre di più le file davanti ai forni. Salvo le strade dove si combatte più alacremente, stupisce vedere quanti abitanti ancora vivano in città . Con la guerra, Aleppo si sveglia tardi. Fa freddo. E i cecchini sono ovunque. Nelle zone in mano alla rivolta, mesi fa il regime ha tagliato l’acqua corrente e l’elettricità .
Ma il risentimento che i giovani insorti dell’Esercito siriano libero nutrono nei confronti dell’amministrazione Obama ha un’altra origine. Il Dipartimento di Stato americano ha infatti inserito nella lista nera delle organizzazioni terroristiche i ribelli del Fronte al Nusra, i più estremisti nel variegato fronte della rivolta anti-regime, perché verosimilmente collegati ad Al Qaeda e responsabili di oltre 40 attacchi kamikaze. «Ma come si permettono, questi burocrati americani che non sanno neanche dov’è la Siria, di accusare il Fronte al Nusra! È composto da soldati coraggiosi e tremendamente efficaci, che non temono la morte perché sostenuti dalla fede», spiega Ahmed tra una sciabolata di proiettili e l’altra.
Quando gli chiediamo se non lo spaventa l’ipotesi di ritrovarsi un giorno con dei terroristi in casa, lui alza le spalle. Poi dice: «Lunedì scorso, dopo settimane di violenti combattimenti, hanno finalmente conquistato l’ultimo baluardo governativo a ovest di Aleppo: la base
militare di Sheikh Suleiman. Per noi, sono ormai diventati l’esempio da seguire». Ahmed ancora indossa l’uniforme mimetica. Ma alcuni suoi compagni l’hanno dismessa e ora, come i mujaheddin di altre terre o come, appunto, i terroristi del Fronte al Nusra, vestono con lo shalwar kameez, il camicione e i pantaloni neri pachistani, sostenendo che sia più pratico per combattere.
È lecito scorgere nell’infatuazione jihadista di molti combattenti dell’opposizione un serio pericolo per il futuro della Siria e dell’intera regione? Giriamo la domanda al colonnello Abdul Jabbar al Akaidi, capo del consiglio militare dell’Esercito siriano libero della regione di Aleppo, che incontriamo in una villa isolata tra gli ulivi. La sola traccia che ricordi la sua fede sunnita è un’elegante edizione del Corano posata sulla sua scrivania. Per il resto, il colonnello al Akaidi, che disertò l’esercito di Damasco più di un anno fa, ha tutt’altro di un talib. Massiccio, la sessantina e anche lui in mimetica, ha l’aspetto marziale che compete al suo ruolo. Più che un’islamizzazione della rivolta, il colonnello interpreta quanto accade soltanto con l’enorme fardello di dolore e di fatica che affligge il popolo siriano da quasi ventidue mesi di guerra civile. Dice: «Oggi, perciò, la sola distinzione che possiamo permetterci è tra chi sta con l’opposizione e chi con il regime. Quanto al Fronte al Nusra non ha mai fatto niente di illegale e in questo momento combatte al nostro fianco. I soli che andrebbero inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche sono quei macellai al servizio del presidente siriano Bashar al Assad che sgozzano i bimbi sotto gli occhi dei loro genitori, compiono genocidi, bombardano e affamano la propria gente».
In serata arrivano voci secondo cui, nei giorni scorsi, il regime avrebbe addirittura sparato missili Scud contro i ribelli. Ma questa rivoluzione orfana sembra aver trovato un protettore in Barack Obama. E dopo Obama, altri Paesi, tra i quali l’Italia, hanno riconosciuto i ribelli siriani. Il presidente americano s’è forse accorto che la lunga latitanza dell’Occidente potrebbe fare della Siria un nuovo Iraq o, peggio, un altro Afghanistan.
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