I numeri dei sondaggisti e la gara per il Senato: il rischio del pareggio c’è
ROMA — «Tutto si giocherà al Senato e, quindi, tutto si giocherà in Lombardia, che è per l’Italia quello che per le elezioni del Presidente degli Stati Uniti, sono contemporaneamente l’Ohio e la California: l’Ohio perché è uno Stato contendibile (né tradizionalmente democratico né tradizionalmente repubblicano) e la California per il grande numero di seggi che attribuisce nelle votazioni», dice il professor Roberto D’Alimonte ordinario nella facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano.
A meno di sessanta giorni dalle elezioni del 24 e 25 febbraio, ci sono solo due certezze. La prima è che a meno di un cataclisma non prevedibile il Pd raggiungerà agevolmente la maggioranza della Camera. La seconda è che invece i giochi non sono ancora fatti per il Senato. E che si potrebbe riprodurre a Palazzo Madama lo stesso scenario del 2006. Sette anni dopo, lo stesso film, vista la buona rimonta del Pdl nei sondaggi: «Per le elezioni 2013 l’obiettivo del Cavaliere sarà almeno quello di raggiungere il 28/29 per cento dei voti» ha spiegato Alessandro Amadori direttore di Coesis Research. Anche se nulla è scontato, e la strada è davvero ancora molto lunga.
Quello che è sicuro infatti è che al Senato, i voti contano davvero, ed è lì, e solo lì, che il Partito Democratico potrebbe rischiare di non avere la maggioranza.
«Per i dati che stiamo raccogliendo in questi giorni», spiega Renato Mannheimer dell’Ispo, docente di Analisi dell’opinione pubblica, «al Senato siamo veramente sul filo di lana». Mannheimer parla di un possibile riproporsi «dello spettro del 2006» e concorda: «Tutto si giocherà in Lombardia, che assegnerà ben 49 seggi senatoriali».
I fattori che rendono la Lombardia determinante sono almeno tre. Il primo riguarda quello che possiamo chiamare l’effetto election day e cioè, spiega Alessandra Ghisleri, di Euromedia research (che fornisce i sondaggi a Silvio Berlusconi), «l’effetto trascinamento della corsa a presidente della Regione dei tre candidati, Umberto Ambrosoli, Bobo Maroni, e Gabriele Albertini, sul voto dei collegi del Senato per le politiche». Un trascinamento che potrebbe spostare fino al 5 per cento degli elettori. Anche considerando le differenze dei collegi in cui i candidati sono più forti (Maroni in Lombardia 2 e 3, cioè Varese e Brescia, Albertini e Ambrosoli su Milano e Monza).
Il secondo fattore è la redistribuzione dei seggi in base al censimento del 2011 che attribuiscono due scranni in più a Palazzo Madama alla regione lombarda, rispetto al 2008 e a scapito della Campania (-1) e della Sicilia (-1).
Ma è il terzo ed ultimo, il vero elemento fondamentale, quello che farà la differenza: cioè i due scenari completamente diversi che si delineeranno a seconda che il Pdl riuscirà o no a stringere l’accordo elettorale con la Lega Nord. «È questo il vero, ultimo tassello che dobbiamo conoscere per mandare a posto tutti gli elementi del puzzle» spiega D’Alimonte.
Esattamente quanto dimostrano gli ultimi dati raccolti pochi giorni fa ed elaborati il 25 dicembre dal sito di sondaggi Scenaripolitici.com (ma naturalmente senza poter testare ancora l’effetto della salita in politica di Monti). Per il Senato, si fronteggiano infatti già due differenti ipotesi a seconda se il Pdl riuscirà o non riuscirà a scendere in campo con la Lega: lo scenario «A» vede, nel primo caso la Lombardia assegnata al centrodestra, sia pure allo stato non «solid» («sicuro») ma solo «leaning» («tendenziale»). Mentre nello scenario «B», invece, cioè nell’ipotesi in cui questa alleanza non ci sarà , la Lombardia verrà attribuita (questa volta «solid») al Pd e al centrosinistra.
Solo nell’ipotesi «A» la lista Monti giocherà un ruolo decisivo, perché solo con un buon risultato del Pdl al Senato (e in primis in Lombardia), potrà giocare un ruolo di ago della bilancia nei confronti del centrosinistra. «È un effetto paradossale» — spiega un esperto — e la «salita in campo» del Professore potrebbe essere decisiva in Senato nei confronti del progetto «prendo-tutto» del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, solo se quanto meno la Lombardia «finisse» in mano al Pdl e ai suoi alleati. È in ogni caso strada obbligata è che a Palazzo Madama la «lista Monti» sia una lista unica, perché solo così essa può superare lo sbarramento dell’8 per cento previsto dal Porcellum che invece penalizza le coalizioni facendo salire l’asticella fino al 20 per cento del totale perché esse possano ottenere seggi e abbassare la soglia di ogni singola lista partecipante al 3 per cento dei voti ottenuti e non all’8 per cento.
M.Antonietta Calabrò
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