I BENI CULTURALI SENZA UNA POLITICA

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Ecco dunque l’agenda Ornaghi: la pace sociale si raggiunge rinunciando a invidie e gelosie, ognuno si accontenti del suo stato, zitti e mosca. Quanto al suo dicastero, pro bono pacis sarà  meglio non rispondere nemmeno al direttore degli Uffizi, anzi bastonarlo se si accorge che il suo stipendio è un decimo di quello dei suoi colleghi americani e un ventesimo di quello di un deputato (italiano) che vende il voto al miglior offerente. No all’invidia sociale, viva l’armonia. È un modello che si può estendere: per esempio, guai ai disoccupati che vorrebbero lavorare, sono solo degli invidiosi. Vergogna se un malato che non può curarsi per i tagli alla sanità  dice che chi può permettersi un’assicurazione godrà  di miglior salute. Vituperio su alunni, insegnanti e genitori che vorrebbero una scuola pubblica funzionante, e osano ricordare che secondo la Costituzione (art. 33) scuole e università  private, compresa la Cattolica di cui Ornaghi è stato rettore fino a un mese fa, hanno piena libertà  ma «senza oneri per lo Stato». Tutta invidia. Qualcuno si permette di ipotizzare «una società  in cui tutti i meriti ottengano il loro giusto compenso»? Ma è una «critica sprovvista di un realistico contributo costruttivo », anzi «un malvezzo». Questi «incattivimenti» meglio eliminarli alla radice, pax vobiscum.
E perché non affrontare gli altri nodi della politica stigmatizzando anche gli altri vizi capitali? Un brillante biologo conteso da università  di tutto il mondo vorrebbe una cattedra in Italia (ma non può: i concorsi sono bloccati da sette anni)? Pecca di superbia!
Un operaio di Taranto protesta perché all’Ilva si registra un aumento dei tumori fino al 419 %? Si è macchiato di un altro vizio deplorevole, l’ira. Un malato si lamenta della pessima qualità  del cibo in ospedale? Si penta, sta peccando di gola. Un direttore resiste all’idea di privatizzare attività  e biglietteria del suo museo? Ma è avarizia! Restano due vizi nella lista, lussuria e accidia. Del primo abbiamo registrato fin troppi esempi (in Parlamento e nei CdA), ma non incattiviamoci al punto di ricordarli. Di accidia viene accusato frequentemente proprio Ornaghi, ma si tratta palesemente di «distorsioni o fratture che caratterizzano la nostra convivenza civile». E a Gian Antonio Stella che gli aveva chiesto ragione della sua ostinata assenza dalla scena (detta in linguaggio curiale, quel Ministero è davvero “sede vacante”), il ministro risponde serafico che sì, magari fra un mesetto, «trascorso questo periodo di feste», potrebbe concedergli un incontro.
Piuttosto, in questa politica- catechismo, varrà  la pena di ricordarsi anche dei Dieci Comandamenti. Settimo: Non rubare, per dirne una. Ma allora come mai Ornaghi ha difeso in Parlamento il suo consigliere Marino Massimo De Caro, arrestato pochi giorni dopo per il furto di migliaia di libri nella biblioteca napoletana dei Girolamini di cui, proprio in quanto consigliere del ministro, era stato nominato direttore? E come mai Ornaghi non ha sentito nemmeno il bisogno di scusarsi via via che la magistratura scopriva altri furti del De Caro (ancora e sempre in galera), in decine di altre biblioteche in cui entrava come suo consigliere? Forse per non «incattivire»? Sarà , invece, ostensione di bontà  la sua tesi, spesso ripetuta tra un coro di fischi, che è meglio che lo Stato se la svigni dai musei e ceda il passo ai privati? Per troppo tempo abbiamo sperato che la destra “colta e pulita” del governo Monti segnasse un progresso rispetto alla destra becera e incolta dei governi Berlusconi, ma almeno in questo caso non è così. Sarà  forse per carità  cristiana, ma certo Ornaghi ha voluto dimostrare urbi et orbi che il povero Bondi non era, dopotutto, il peggior ministro possibile. Bisogna ammetterlo, ce l’ha fatta.


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