Hirschman, teorico della crescita

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NEW YORK. L’interdisciplinarietà  era apprezzata ai tempi di Adam Smith e Karl Marx, autori capaci di grandi affreschi che univano economia, filosofia, storia, sociologia e scienze politiche. Poi vennero i super-specialisti, che catturarono l’economia e ne fecero un’ancella della matematica. Con Albert Otto Hirschman scompare un grande “contaminatore” di scienze diverse, le cui teorie si applicavano alle elezioni, alle guerre e ai divorzi, oltre che alla concorrenza fra imprese sul mercato. La vita di Hirschman è appassionante quanto i suoi libri.
Nato nel 1915 a Berlino, fugge dal nazismo nel 1933 e s’impegna in tutte le guerre antifasciste: combatte nella guerra civile spagnola contro i franchisti, si arruola da volontario in Francia, a Marsiglia aiuta i profughi scampati al nazismo, infine approda negli Stati Uniti dove studia a Berkeley e poi combatte nella seconda guerra mondiale. «L’amore di Goethe e l’attaccamento a valori universali non lo abbandonarono mai», dice il suo biografo Jeremy Adelman. La sua opera più famosa è Lealtà , defezione, protesta. Rimedi alla crisi delle imprese, dei partiti e dello Stato (Bompiani), del 1970: più attuale che mai perché con preveggenza si occupa del declino, pur essendo stata scritta in un’epoca aurea di crescita economica. Di fronte al deterioramento di un’impresa o di un’organizzazione collettiva, chi ne fa parte ha la scelta della defezione. È la via d’uscita privilegiata dai teorici del mercato: il consumatore vota con i suoi piedi, abbandonando il prodotto di cui non è soddisfatto. Ma la teoria del mercato non soddisfa Hirschman perché in molte situazioni non dà  risultati benefici. La defezione ci toglie il diritto a esigere un cambiamento, a combattere il declino, a esercitare in pieno la nostra influenza. Ecco l’alternativa: la lealtà  che ci fa restare “dentro”, ma usando la protesta per cambiare il corso della storia. Lo stesso Hirschman esortava a verificare la validità  del suo metodo applicandolo alle situazioni più eterogenee: «alla competizione economica, al bipartitismo, al divorzio, o alla condizione degli ufficiali americani in Vietnam».
Di grande attualità  è anche l’altro suo libro più fortunato, Felicità  privata e felicità  pubblica (Il Mulino, 2003). Contiene una severa critica delle illusioni del consumismo; descrive l’alternarsi di periodi in cui le persone cercano la felicità  accumulando beni materiali, per poi capire che l’impegno sociale e l’azione collettiva offrono ricompense più durevoli. Al suo debutto, Hirschman si era cimentato anche con i problemi delle nazioni sottosviluppate, passando una parte della sua vita tra i contadini in America latina. Le passioni e gli interessi (Feltrinelli 2011) è forse la sua opera più ambiziosa: un’analisi del “motore culturale” del capitalismo, che si distacca da Marx e da Max Weber nel trovare tanti elementi di continuità  con le civiltà  pre-capitalistiche. Nella sua biografia c’è anche un posto per l’Italia: è a Trieste che completa i suoi studi universitari dopo Berlino, Parigi e Londra, per poi spiccare il volo verso l’America dove l’insegnamento lo porta alla Columbia e a Harvard.


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