“Golfo di Guinea, mare dei sequestri” Ecco la nuova Tortuga dei pirati

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MANCANO notizie dei quattro uomini di mare, tre italiani e un ucraino, rapiti la sera di domenica 23 al largo della Nigeria. O meglio, ne mancano ai media: il ministero degli Esteri ha chiesto il silenzio stampa sulla vicenda ed è probabile che un contatto con i pirati-rapitori sia già  stabilito e una trattativa sia in corso. Siamo nella regione del Delta del Niger, dove è cospicua la presenza di imprese italiane impegnate a vario titolo nell’estrazione del petrolio, e con esse quella degli addetti alla sicurezza e dei servizi d’informazione. L’assalto al rimorchiatore d’altura “Asso 21” e il sequestro del comandante Emiliano Astarita, del primo ufficiale Salvatore Mastellone,
del secondo ufficiale motorista Giuseppe D’Alessi e del marittimo ucraino Anatoly Alexelev è stata di sicuro una sorpresa, e pessima, ma non un fatto senza precedenti. Il rischio è noto.
«Il Golfo di Guinea», leggiamo in un autorevole rapporto di un istituto di ricerca internazionale, «è attualmente una delle zone marittime più pericolose del pianeta». L’incessante andirivieni di petroliere cariche di greggio, la debolezza e casualità  del controllo delle rotte esercitato dagli Stati della costa, le annose rivendicazioni delle popolazioni del Delta, mai davvero ascoltate e da tempo degenerate in movimenti armati fuori controllo, costituiscono una miscela estremamente volatile e sempre pronta a deflagrare. Sta di fatto, affermano perentoriamente gli esperti, che «la criminalità  marittima costituisce, insieme al montare dell’estremismo islamico nel Sahel, la seconda minaccia emergente nel continente africano».
Anche questa seconda citazione, come la prima, è tratta da un documento dello International Crisis Group, stimatissima organizzazione che si occupa di prevenzione e risoluzione dei conflitti. Il testo porta la data del 12 dicembre: appena dodici giorni prima dell’attacco all’“Asso 21”. Da tempo l’attenzione dell’opinione pubblica è puntata su un altro mare africano a rischio, dall’altro lato del continente: il Golfo di Aden e la costa somala, dove una manovalanza criminale stimata tra le 1.500 e le tremila persone mette a repentaglio da anni la sicurezza delle rotte marittime. Certo il numero degli attacchi è molto più alto in queste acque che nel Golfo di Guinea: 237 attacchi e 28 dirottamenti riusciti nel corso del 2011 contro 53. E l’attività  dei pirati somali è molto più spettacolare: più vasto il loro raggio d’azione, molto maggiore la distanza alla quale si spingono (l’aggressione più lontana è avvenuta ad oltre tremila chilometri dalle basi in Somalia, contro 222 al largo della Nigeria).
Il crimine marittimo nelle acque che bagnano la costa somala ha raggiunto livelli organizzativi sofisticati, con buona disponibilità  di capitali offerti da imprenditori senza scrupoli e l’uso di navi-base per estendere l’operatività  delle piccole imbarcazioni con le quali vengono compiuti i raid.
Ma proprio per questo, e per il fatto che i pirati della Somalia agiscono in assenza di qualunque autorità  statale sulla terraferma, la risposta internazionale, lenta a organizzarsi, si è fatta col tempo sempre più efficace. Le Marine militari di numerosi Paesi europei, Italia compresa, hanno libertà  di azione e riescono a garantire “corridoi” marittimi relativamente sicuri. Molto diversa la situazione nel Golfo di Guinea: lì la pirateria è un fenomeno senz’altro meno intenso che nel Golfo di Aden, ma molto più impunito. Gli Stati rivieraschi, a cominciare dalla Nigeria, sono inefficaci nella repressione, mal coordinati, e quel che è peggio spesso corrotti e, a livello locale, collusi con il crimine. Sulla terraferma il controllo, grazie anche a una geografia molto complessa, è spesso totalmente illusoria. L’esempio più clamoroso
è la penisola di Bakassi, che chiude a est il Golfo di Guinea. Siamo ad alcune centinaia di chilometri dal luogo dove sono stati rapiti i tre naviganti italiani e il loro collega ucraino. Sita in territorio camerunense, ma a ridosso del confine orientale della Nigeria, con una linea costiera estremamente frastagliata, una vegetazione fitta, una miriade di isole e isolotti che danno luogo a un insondabile reticolo di canali navigabili, la penisola è diventata da qualche anno a questa parte una specie di libera repubblica del brigantaggio marittimo, una Tortuga del XXI secolo in acque africane, anziché caraibiche, dove il banditismo si mescola alle rivendicazioni politiche e la legge non penetra.
Il Delta del Niger è l’epicentro del problema; la Nigeria il gigante malato di questa parte del mondo: il più grande, il più ricco, il più corrotto, il più instabile. Ma la pirateria minaccia anche i suoi vicini: il Camerun a est, e ad ovest il Benin e il Togo, fino al Ghana. La sfortuna dell’“Asso 21” non è un caso isolato, ma soltanto un anello in una lunga catena.


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