by Sergio Segio | 6 Dicembre 2012 9:08
E cresce la capacità militare degli insorti. Ora addestrati da militari americani anche in Giordania Per il segretario di stato americano Hillary Clinton, la caduta del regime siriano «è inevitabile» e l’esecutivo di Bashar Assad farebbe meglio a «partecipare» alla riunione degli «Amici del popolo siriano» del 12 dicembre a Marrakech. Parole che hanno rovinato la giornata agli oppositori di Assad, riuniti nella Coalizione nata a Doha il mese scorso, che hanno già fatto sapere che non accetteranno una «soluzione alla yemenita» (l’uscita di scena morbida per Assad, come avvenuto nel caso di Ali Abdullah Saleh) e che lavorano solo per «la caduta totale e chiara del regime». Dalla loro parte, il segretario dell’Onu Ban ki moon che ha escluso «l’impunità » per il presidente siriano.
Si riparla con insistenza di una «prossima caduta» di Assad. Che, anche questa volta, non appare così vicina. Tuttavia sul terreno ci sono novità di rilievo. È cresciuta la forza d’urto dei ribelli armati e l’Esercito regolare appare in difficoltà nell’affrontare miliziani meglio armati, che ora posseggono anche lanciarazzi terra-aria in grado di abbattere, come nei giorni scorsi, elicotteri e jet da combattimento. I più motivati durante il combattimento sono i jihadisti (provenienti da molti paesi) del «Jabaa Nusra» che, già ad Aleppo, hanno preso il sopravvento sulla «Liwa al Tawhid», la brigata armata dei Fratelli musulmani, un tempo dominatrice tra i rivoltosi. Tra i jihadisti che si stanno mettendo in luce ci sono anche i gruppi «Ghuraba al Sham», composto da turchi, ceceni e da mujahedin dell’Asia centrale, e «Ahrar al Sham», formato da libanesi e iracheni. Non ai jihadisti ma al resto dei miliziani sunniti sarebbe rivolto il programma di addestramento messo in piedi da 150 consiglieri militari statunitensi nella base giordana di Yajooz, di cui la stampa internazionale di tanto in tanto si ricorda.
Al gruppo «Ahrar al Sham», secondo alcune fonti, intendevano unirsi i 20 libanesi sunniti di Tripoli del Libano uccisi qualche giorno fa poco dopo essere entrati in Siria per combattere contro Assad. Una vicenda dai contorni poco chiari, della quale hanno scritto i giornali locali e che ha infiammato di nuovo il clima nella città settentrionale libanese che appoggia i ribelli anti-Assad, dove ieri sono riesplosi gli scontri armati tra miliziani sunniti e combattenti alawiti (sciiti). I morti sono stati almeno sei e tutto fa temere che il conflitto settario siriano finisca per dare fuoco alle polveri di quello libanese, che cova sotto la cenere. Benzina sul fuoco della tensione in Libano sono state anche le ammissioni del deputato sunnita, Okab Sakr, del partito Mustaqbal dell’ex premier Saad Hariri. Dopo le rivelazioni del quotidiano al Akhbar, Sakr ha riconosciuto che è sua la voce in una conversazione telefonica intercettata, nella quale si organizzano forniture di armi ai ribelli oltre il confine. In Siria combatterebbero anche guerriglieri Hezbollah, schierati però con Assad.
Un segnale delle crescenti difficoltà delle forze regolari sarebbe l’impiego massiccio dell’aviazione, per limitare l’uso della fanteria, sempre più stanca. La natura settaria della guerra civile, impone ai generali siriani di ricorrere ormai quasi esclusivamente a reparti formati da alawiti (la setta alla quale appartiene Assad), spostandoli di volta in volta in varie parti del paese. Nelle ultime 48 ore l’esercito ha lanciato un’ampia offensiva aerea per riprendere il controllo dei sobborghi orientali e meridionali di Damasco: la regione di Ghouta, Mleha, Zabdin, Daraya e Saqba. Con l’obiettivo di tenere aperta la strada dell’aeroporto internazionale. Si è combattuto ieri anche intorno alla base militare di Wadi Deif, sotto assedio dei ribelli dallo scorso ottobre, quando è caduta la cittadina di Maaret al Numan. Intanto il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu dice che la Turchia «sa tutto» dei circa 700 missili a media e lunga gittata di cui dispone la Siria. Dichiarazioni rilasciate in un’intervista pubblicata all’indomani del via libera Nato alla dislocazione di batterie Patriot lungo il confine siriano.
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