Gli ospedali ai privati Un milione di no

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MADRID. Di certo quello del Partido Popular è un governo che sa andare al sodo. Soprattutto quando si tratta di tagli e privatizzazioni: scuola, sanità , assegni sociali, pensioni. Obiettivi strategici di un bombardamento di precisione che in un anno di governo ha ridotto a macerie fumanti i pilastri del welfare spagnolo. Una macelleria sociale che nelle ultime settimane ha messo nel mirino la sanità  – ancora per poco – pubblica. Soprattutto se il virus della privatizzazione selvaggia, che ha avuto il suo focolaio nella regione di Valencia (in mano al Pp), si espanderà , come è probabile, al resto del paese.
Per ora (aspettando Castilla La Mancha, che sembra andare nella stessa direzione) si conta già  un clamoroso caso di contagio, ed è quello della Comunidad de Madrid, che all’inizio del mese scorso ha presentato una riforma del sistema sanitario che, entro il 2013, consegnerà  nelle mani di società  private l’intera gestione di 6 ospedali e 27 centri di salute della capitale.
La decisione, annunciata dal presidente della regione Ignacio Gonzaléz, giunge poco dopo l’introduzione della contestatissima tassa regionale di un euro sulle ricette mediche e rappresenta la realizzazione di un’idea di sanità -business inaugurata nove anni fa dalla governatrice Esperanza Aguirre, non per caso soprannominata la Lady di ferro madrilena.
Una linea neoliberista che, in quasi un decennio, ha permesso la massiccia penetrazione del privato nella sanità , senza però superare la barriera dell’esternazlizzazione del personale sanitario. La cosiddetta gestione integrale, che la riforma Gonzalez, invece, sdogana.
Inutile dire che si tratta di una ghiotta opportunità  speculativa per le società  interessate al settore sanitario, nonché del preludio a una cascata di tagli al personale ospedaliero, che potrebbe far saltare migliaia di posti di lavoro. Inoltre, come fanno notare varie associazioni di medici, i criteri di profitto con i quali verrebbero gestiti gli ospedali non sarebbero la miglior garanzia per la salute dei pazienti.
Per queste ragioni la decisione del governo regionale ha suscitato la vigorosa protesta del personale sanitario, già  da tempo sul piede di guerra per il costante peggioramento delle condizioni lavorative. Martedì scorso una manifestazione di medici, infermieri e dipendenti della sanità  ha tinto di bianco – il colore dei camici simbolicamente indossati durante il corteo – le strade di Madrid e ha dato il via ad uno sciopero ad oltranza che ha raccolto un’adesione dell’85% e farà  incrociare le braccia ai medici madrileni tutti i lunedì e i giovedì. L’altro ieri c’è stato il bis, che ha chiuso la prima settimana di proteste chiedendo al governo regionale l’immediato ritiro del piano di privatizzazione. 
Ieri mattina, invece, una delegazione della Plataforma de Trabajadores y Usuarios en Defensa de la Sanidad Pàºblica, ha consegnato al consigliere comunale per la sanità  un documento con circa un milione di firme contro la «riforma».
Nessun segno di ripensamento, tuttavia, è arrivato da parte delle istituzioni, che hanno difeso la riforma sostenendo che essa genererebbe un risparmio del 25% sulla spesa sanitaria regionale. Un dato, però, tutt’altro che certo; smentito, anzi, da uno studio della Federacià³n de asociaciones de defensa de la sanidad pàºblica (Fadsp) che stima invece un rincaro della stessa quantità . La solita guerra dei numeri, dietro cui vi è, però, un fatto oggettivo: le società  che possono aggiudicarsi gli appalti per la gestione integrale degli ospedali, sono molto poche (essenzialmente due: Ribera salud e Capio) e agiscono, praticamente, in una situazione di oligopolio. Ciò conferisce alle società  uno sproporzionato potere di negozazione che rischia di condizionare la funzione di controllo che l’amministrazione pubblica dovrebbe esercitare sulla gestione delle società  private. Uno scenario in cui la salute dei cittadini non sembrerebbe essere la priorità 


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