Gli incerti orizzonti dei piccoli editori

by Sergio Segio | 6 Dicembre 2012 8:44

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C’è chi per scampare alla tempesta decide di ammainare le vele e chi invece cerca di scrutare porti forse ancora lontani. Più Libri Più Liberi, la fiera della piccola e media editoria che si apre oggi a Roma (ma quest’anno con un ventaglio di altri appuntamenti diffusi in tutta la città : programma completo su www.piulibripiuliberi.it) presenta un paesaggio diversificato ma sempre più incerto, in un paese in cui la percezione dell’importanza della cultura è stata avvelenata alle radici dall’ideologia arrembante e smargiassa del ventennio berlusconiano.
Una saturazione di proposte
Dando una scorsa alle statistiche Nielsen che verranno presentate oggi nell’ambito degli appuntamenti della fiera, la notizia è che nel consumo del libro (ci si passi la locuzione sempre più confermata dalla realtà ) il segno meno si assottiglia. Ma c’è davvero da festeggiare? Gli ultimi dati generali sul mercato librario in Italia sembra debbano far tirare un sospiro di sollievo, ma parrebbe ironico dover gridare all’inversione di tendenza con un -11,7% di marzo ridotto a -8,6% a settembre e oggi diventato -7,5. Cosa significano queste cifre in un mercato complessivo di 40.000 titoli l’anno in cui almeno il 55% della popolazione non legge neanche un libro?
Mantenendo come sempre il suo fulcro al Palazzo dei Congressi dell’Eur, Più Libri Più Liberi offre la fotografia di un settore che con ogni evidenza naviga a vista, proiettato in un orizzonte incerto, assediato dai fantasmi della crisi, del calo dei lettori e del conseguente calo di titoli pubblicati e occupazione: si pensi che dal 2010 al 2011 più di una persona su dieci impiegata in questo settore ha perso il lavoro. Diversi e interconnessi, benché in maniera più fluida di quel che si crederebbe sulle prime, gli elementi di un panorama che è davvero arduo valutare nei suoi sviluppi persino a breve termine. Ci sono la saturazione di proposte e il loro ciclico livellarsi secondo la parola d’ordine del momento, le dinamiche seriali di una macchina come quella distributiva, la rotazione affannosa – anzi ormai francamente tachicardica – di titoli negli scaffali, le difficoltà  di negozi indipendenti e librerie storiche a fronte delle grandi catene, l’incertezza o lo sgomento di chi pensa ancora all’oggetto libro (e al ruolo dell’editore) in modo tradizionale di fronte all’avvento del self publishing; c’è poi la diffusione da noi relativamente lenta ma comunque inesorabile dell’e-book e l’ingresso dirompente nell’agone di Amazon, nuovo attore intenzionato a sparigliare le carte cambiando il senso consueto della parola «pubblicazione».
Il rifiuto della retorica
Sono dati che configurano una trasformazione già  in atto, dai profili impredicibili; ma consideriamo quali risposte stanno nascendo e quali semi si intende gettare tra le macerie. Nel segno della bibliodiversità , della «mobilità  e permeabilità » dei luoghi di una ecologia della fruizione editoriale si colloca l’Odei, l’Osservatorio dell’Editoria Indipendente formato da un nutrito gruppo di piccoli editori il cui Manifesto (di cui è stato anticipato uno stralcio martedì su queste pagine) verrà  distribuito da oggi in fiera. Anche i «guizzi dello spirito», e non solo i rendiconti e l’occupazione di spazi di vendita, fanno parte della ricchezza misurabile e non misurabile di un paese. Gli indipendenti sono tagliati fuori dai gangli della grande distribuzione, dalla sua concentrazione in mano a pochi grandi gruppi editoriali, che si riversa anche sul controllo di vendita e visibilità  sugli scaffali.
Ma il Manifesto dell’associazione informale in cui si sono riuniti queste sigle rifiuta la retorica degli esclusi e non emette giudizi sulle scelte dei singoli editori, né tantomeno vagheggia un’ipotetica distanza o eccellenza rispetto al «mercato»; si propone prima di tutto come una presa di posizione culturale (quindi intimamente politica), un punto d’osservazione sulle dinamiche del monopolio, e su come esse hanno squilibrato i modelli produttivi e di promozione, per avviare una riflessione comune sulla trasformazione del libro a partire dalla crisi. Una trasformazione che rischia di vedere fra le vittime illustri proprio quelle sigle (già  falcidiate come niente fosse nel corso del tempo: 2250 editori, ad oggi, dei 3300 di 12 anni fa) che pensano e praticano cultura in maniera indipendente.
A firmare il Manifesto Odei sono 76 editori che non fanno parte di alcun gruppo editoriale e sono sì «affini» ma di identità  e proposte sfaccettate: da Minimum Fax a Quodlibet, da Elèuthera a La Nuova Frontiera, Voland e Zandonai. «Non vogliamo un ecosistema del libro fatto di riserve naturali o aree protette. Ma i luoghi della diversità  vanno pensati anche in funzione della loro utilità  per il tutto, contribuendo a ripristinare le condizioni della loro sopravvivenza». Come tradurre in pratica questa tensione a pensare e forse inventare altri luoghi per il libro? Intanto, come ha annunciato la palermitana :duepunti, per valorizzare un lavoro che non può esaurirsi nel «fare libri» si può creare un modello distributivo diretto di «filiera corta» coinvolgendo le piccole librerie in un programma di fidelizzazione che metta al centro la trasmissione del sapere e il ruolo del libraio come mediatore culturale.
Recenti iniziative normative – la legge Levi, tanto attesa e riverita, e poi molto criticata) – regolamentano il tetto massimo di sconti ma non altri aspetti commerciali che incidono pur sempre sul controllo della vendita e del prezzo del libro da parte delle grandi catene. Certo, «pluralismo» è una parola che può essere rivestita di significati molto diversi, a seconda dell’idea regolativa che si abbracci.
Un’altra reazione ai cambiamenti in corso nell’editoria e nei luoghi in cui il libro è o dovrebbe essere oggetto di prestigio e conoscenza è la proposta di legge popolare per la promozione del libro e della lettura in fase di elaborazione collettiva tramite l’Associazione Forum del libro (www.forumdellibro.org, se ne parlerà  domenica all’Orvieto Food Festival). Resta da vedere se, una volta definita nel dettaglio, sarà  un’idea ancora all’altezza degli eventi e se saprà  sviluppare una visione che metta d’accordo le varie parti in causa, comprese le biblioteche, per le quali si prospettano anni di cambiamenti paradigmatici – cambiamenti che, a tutti, richiederanno una laica riconsiderazione dei temi legati alla proprietà  intellettuale e al diritto all’informazione e alla conoscenza.
In difesa delle anomalie
Se – di fronte a una crisi dagli effetti aleatori su un intero sistema e all’impreparazione che si intuisce riguardo agli imperscrutabili sviluppi del digitale – l’impressione è che gran parte dell’editoria italiana, anche quella di dimensioni maggiori, sia bloccata in attesa, è peraltro vero che a una situazione come questa non è illogico rispondere con l’azione. Gli ultimi mesi hanno visto apparire infatti nuove case editrici che si distinguono per proposte di qualità  e di ricerca: c’è la neonata L’Orma – di cui sabato si presenterà  in fiera con l’autore (il grande reporter Gunther Wallraff) Notizie dal migliore dei mondi; a Napoli da un anno è attiva Orthotes, che ha fra l’altro riedito i Frammenti di un filosofo imperterrito e inconciliato come Giuseppe Rensi; e altre storie sono in gestazione, come quella di Clichy, che da gennaio proseguirà  con gli stessi volti e un nuovo marchio l’esperienza importante di Edizioni Barbès.
Ma sono molti gli eventi e gli appuntamenti da tenere d’occhio a Più Libri Più Liberi per avere un’idea delle «condizioni di possibilità » dell’editoria in questo momento: da quelli dedicati a come produrre un e-book alla presentazione degli atti delle Giornate della Traduzione Letteraria, fino al mondo dell’editoria di fumetti che vede un momento di estrema vitalità  grazie a un web per una volta non minaccioso ma alleato (un solo nome su tutti: Zerocalcare).
Se è vero, come scrivono i membri del Forum del libro, che in Italia «il costo dell’ignoranza non è più sostenibile», questa lotta deve essere inquadrata in un percorso in cui le differenze e la singolarità  di ciascuno rappresentino una ricchezza. E oggi più che mai non c’è nulla che sia democratico quanto la difesa delle anomalie: come in ogni ecosistema, sono i soggetti vivi che si nutrono dell’interscambio, favorendo possibilità  di libera scelta, moltiplicando alternative e curiosità . Ammesso che mentre le onde spazzano la nave, oltre le nubi si intraveda ancora una stella polare.

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