Frenare l’arroganza

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Che lo abbia affermato in conferenza stampa il premier Mario Monti, la cui attenzione al giudizio dell’opinione pubblica europea è costante, equivale alla promessa che la città  non sarà  lasciata sola. Anzi, che il processo di risanamento della fabbrica sarà  il più trasparente possibile.
Il governo ieri ha anche detto che considera l’acciaieria pugliese un’attività  strategica con un’affermazione che non potrà  non piacere a quanti legano indissolubilmente la caratura internazionale del nostro Paese alla forza e alla credibilità  della sua industria. Chi aveva criticato a più riprese l’impostazione di Monti tesa a privilegiare più l’allargamento della domanda (le liberalizzazioni dei taxi e del mercato del lavoro) che la salvaguardia dell’offerta (la nostra struttura manifatturiera) non potrà  non cogliere la discontinuità  culturale presente nel decreto. Si sta facendo della politica industriale, seppur sotto il condizionamento dell’emergenza e dopo aver manifestato qualche incertezza e pigrizia.
La produzione a Taranto non si fermerà  innanzitutto perché questa è la garanzia, forse la sola, per avviare la bonifica ambientale e poi perché quello stabilimento è centrale nel sistema delle forniture della filiera meccanica italiana. Non sappiamo, infatti, quanto ancora sarà  lungo il tunnel della crisi ma non possiamo pensare neanche per un attimo di uscirne deindustrializzando. Se vogliamo sperare di tamponare la crescita della disoccupazione — i dati di ieri sono allarmanti — non possiamo un giorno invocare il radicalismo della piazza e quello dopo avere atteggiamenti autolesionistici.
I problemi, dunque, si affrontano e non si negano. È questo il messaggio di Palazzo Chigi ed è importante che tutti gli altri soggetti coinvolti a vario titolo nel dramma di Taranto si muovano con lo stesso spirito, con l’obiettivo cioè di coniugare responsabilità  e pragmatismo. Il sindacato lo ha fatto e l’esempio va esteso quanto più possibile. Perché ciò possa avvenire c’è una sorta di precondizione: più il governo e il garante che sarà  nominato saranno intransigenti con la famiglia Riva, più sarà  chiaro agli abitanti della città  che il decreto reca con sé una svolta e recepisce il drastico giudizio dato dalla magistratura sull’operato degli azionisti e del management dell’Ilva. Non c’è ulteriore spazio per l’arroganza e la clausola inserita nel decreto, che prevede in caso di ostruzionismo da parte dei Riva persino la perdita della proprietà , rappresenta un passaggio chiave (non scontato) dell’iniziativa del governo.


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