Fiscal cliff, Obama tenta l’intesa in extremis

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NEW YORK â€” Come together, cantavano John Lennon e gli altri Beatles nel 1969. E ora, scritto su ogni tazza di caffè Starbucks, l’invito ad “andare insieme”, a superare le divisioni e trovare un accordo bipartisan sul debito, è rilanciato da Howard Schultz, fondatore e chief executive della più grande catena di bar del mondo. «L’America si merita di più dello spettacolo offerto dalla nostra classe politica », tuona Schultz, facendosi portavoce dei poteri forti e delle grandi multinazionali nel denunciare «l’irresponsabilità  e la mancanza di leadership» della classe politica, che rischiano di gettare il paese nel fiscal cliff, il precipizio fiscale.

In mancanza di una soluzione legislativa entro quattro giorni, infatti, scatteranno tagli automatici della spesa pubblica e incrementi fiscali per un totale di 600 miliardi di dollari, che riaprirebbero le porte alla recessione bloccando la ripresa economica in atto. Non solo: ieri notte il ministro del tesoro Tim Geithner ha avvertito il Congresso che il 31 dicembre gli Stati Uniti raggiungeranno il tetto fissato per legge di 16mila 400 miliardi di debito pubblico fisato e saranno quindi tecnicamente in ‘default’. A parole, nessuno si rallegra di un risultato del genere, che potrebbe persino portare a un altro abbassamento del rating. «Ma nei fatti – accusa il capo di Starbucks – il nostro sistema politico non funziona in modo rappresentativo delle necessità  e delle volontà  del paese».
Interrotte bruscamente le vacanze con la famiglia alle Hawaii, Barack Obama torna stamani a Washington nella speranza di lavorare con il Congresso e di tamponare il problema entro la scadenza della fine dell’anno. Anche il presidente, ormai, si è rassegnato a una soluzione- ponte, perché il sogno di un maxi-accordo con la destra per riequilibrare in modo strutturale e definitivo i conti pubblici sembra tramontato, e comunque non ci sono più i tempi tecnici per l’eventuale approvazione. Il problema? A questo punto persino un miniaccordo- tampone sembra difficile, perché le divisioni interne del partito repubblicano e l’intransigenza della sua ala più conservatrice continuano a bloccare ogni compromesso.
Già  la settimana scorsa la destra si era spaccata su una proposta del capogruppo repubblicano alla camera John Boehner di alzare le tasse sui redditi al di sopra del milione di dollari annui, cioè sullo 0,18% dei contribuenti americani. Molti deputati non volevano tradire la promessa elettorale di non alzare le tasse per nessun motivo. D’altra parte, forti del successo elettorale di novembre, il presidente e il partito democratico esigono che i ceti più abbienti contribuiscano di più al riequilibrio dei conti pubblici.
Come uscire dall’impasse? I democratici potrebbero proporre una norma transitoria per evitare i drastici tagli delle spese pubbliche e per estendere i tagli fiscali ai ceti meno abbienti. Ma per passare, una misura del genere avrebbe bisogno del sostegno di alcuni voti della destra, che ancora è restia. Così, un numero crescente di analisti ipotizza che non si sarà  alcun accordo prima del 31 dicembre: e che quindi solo dopo il ‘precipizio’ e il probabile scivolone di Wall Street, le forze politiche saranno in grado veramente di Come together.


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