FIAT VOLUNTAS SUA
Ha parlato davanti agli operai, senza neppure arrossire di fronte a chi, in quello stabilimento, lavora con tre turni al giorno per sei giorni, con salari inferiori anche al 20 per cento, con la catena di montaggio a tempi accelerati. Ha sorriso e stretto molte mani, senza alcun imbarazzo nel rivolgersi ai lavoratori con le armi di una cinica retorica («oggi, da Melfi, parte un’operazione che non è per i deboli di cuore»). Parole poi riprese, in perfetta sintonia, dallo stesso Marchionne («il nostro è un piano coraggioso, non per deboli di cuore»). Uno scambio di amorosi consensi per aver abolito i diritti del lavoro (dall’articolo 18 alla mancata legge per le rappresentanze sindacali). Musica per le sensibili orecchie di Cisl, Uil e Ugl, guardie pretoriane del popolo operaio: Bonanni e Angeletti erano presenti alla cerimonia padronale, e solo loro perché anche Susanna Camusso è stata tenuta fuori dalla porta.
Monti e Marchionne, una ditta perfettamente coerente. Due compagni di pensiero liberista, il professore controllato (ormai sempre meno), il manager spregiudicato. Ma uniti e concordi nell’esprimere una volontà di governo e di comando, come se l’Italia fosse un’azienda, una banca, un paese che può fare a meno della politica. Purtroppo niente di nuovo, abituati come siamo a vent’anni di berlusconismo. E il montismo gli somiglia, con buona pace di chi, nel Pd, si è iscritto, e difende, l’agenda Monti.
Del regime berlusconiano il montismo ora copia l’uso privato dello spazio pubblico, confondendo l’interesse di parte con quello generale. Ufficialmente è ancora il presidente del consiglio quello che vediamo in tv, quello che si reca in visita da Marco Pannella, quello che arriva alla Fiat di Melfi per rendere omaggio al vertice dell’azienda. In realtà le comparsate televisive e la gita Fiat sono interpretate da un candidato alle prime tappe del grand tour elettorale, sono il nuovo copione con cui si presenta la maschera del tecnico chiamato a succedere a se stesso sulla poltrona di palazzo Chigi.
In fondo è naturale che nel paese devastato dal conflitto di interessi il professore non si faccia scrupolo di usare la tv e gli stabilimenti di Marchionne come megafoni per la propria investitura politica. E’ normale che consideri come un suo ufficio di partito persino le stanze del governo dove riceve, senza ombra di discrezione, le facce nuove dei supporter (Casini, Cesa…). Come se preservarle da ogni strumentalizzazione partitica fosse l’ultimo dei pensieri avendole già trasformate nell’anticamera dei suoi affari privati. Come nella peggiore tradizione.
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