Festa a Ramallah. Qualcosa si muove
GERUSALEMME. Gli Usa condannano le nuove colonie, ma il Congresso è pronto a tagliare i fondi ai palestinesiSaranno in migliaia questo pomeriggio ad accogliere il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) al suo rientro a Ramallah. Si annuncia un’altra grande festa dopo quella di giovedì notte che ha celebrato nelle strade della Cisgiordania e (molto meno) in quelle di Gaza, l’ingresso come «osservatore» nelle Nazioni Unite dello Stato di Palestina. Il presidente dell’Olp e dell’Anp, si rivolgerà alla folla cercando di capitalizzare i consensi che ha guadagnato con la sua iniziativa all’Onu in modo da dare smalto alla sua leadership, fino a oggi grigia e segnata da contraddizioni e ambiguità . A cominciare dalla cooperazione di sicurezza con Israele, imposta dagli Stati uniti, e che la sua gente non ha mai accettato, perché colpisce solo i palestinesi visto che non è utile neppure a fermare le incursioni punitive dei coloni israeliani nei villaggi palestinesi. «Le parole del presidente ci spiegava ieri una fonte dell’Olp saranno un messaggio di fermezza e al tempo stesso di disponibilità a negoziare con Israele, nel rispetto però delle risoluzioni internazionali». L’altro giorno Abu Mazen ha chiarito che lui non pone precondizioni come afferma Israele ma, ha aggiunto, «ci sono almeno 15 risoluzioni delle Nazioni Unite che affermano l’illegalità delle attività israeliane di colonizzazione… perché Israele non le ferma?». Non bastano ai palestinesi le tardive (e minime) correzioni di rotta dell’Amministrazione Obama che, per bocca del Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha fatto sapere di ritenere «controproducente per la pace» l’espansione ulteriore delle colonie israeliane, prevista dal progetto reso noto venerdì per la costruzione di altri 3-4mila alloggi per settler anche nella zona E1, per congiungere Gerusalemme a Maale Adumim. Nuove case e strade che taglieranno a metà la Cisgiordania, rendendo impossibile la realizzazione concreta di quello Stato di Palestina che oggi siede come «osservatore» alle Nazioni Unite. Poco prima Clinton si era lanciata in abbracci e strette di mano con il ministro della difesa israeliano Barak e quello degli esteri Avidgor Lieberman che qualche settimana fa invocava di un’azione di forza per rovesciare Abu Mazen. Dietro le quinte la Casa Bianca continua a premere sul presidente palestinese usando la profonda dipendenza del governo dell’Anp dagli aiuti occidentali. E non mancando di far notare che il Congresso è pronto a tagliare i finanziamenti Usa ai palestinesi. Il punto più rilevante sul tavolo resta la possibile denuncia di Israele per crimini di guerra davanti ai giudici internazionali. I palestinesi potranno presentarla ora che hanno ottenuto lo status di Stato osservatore all’Onu. Le indiscrezioni dicono che Abu Mazen abbia già garantito che per diversi mesi, almeno sei, i palestinesi non faranno ricorso a questo diritto. Una posizione non condivisa da diversi esponenti dell’Olp, convinti che occorra portare subito la colonizzazione israeliana di fronte ai giudici per sfruttare il momento internazionale favorevole. Qualcosa si è già mosso. La delegazione palestinese ha presentato in Assemblea Generale cinque bozze di risoluzione. La prima chiede di prendere immediate misure per giungere alla soluzione del conflitto, attraverso l’applicazione delle decine di risoluzioni Onu mai concretizzate, lo stop della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e alla costruzione del Muro: 163 i voti a favore, sei i contrari, cinque le astensioni. Gerusalemme è stata oggetto di un’altra risoluzione (162 sì, 7 no, 6 astensioni) con la quale lo Stato occupato di Palestina ha chiesto di riaffermare l’illegalità che delle politiche israeliane nella zona araba della città occupata nel 1967. La speranza dei palestinesi di Gaza è che questo intenso movimento diplomatico tenga i riflettori accesi anche sul loro lembo di terra, emerso il mese scorso da otto giorni di bombardamenti aerei israeliani, ufficialmente indirizzati contro Hamas ma che hanno fatto decine di vittime civili. Proprio ieri l’Unicef ha riferito che 1.200 bambini di Gaza nei giorni scorsi hanno avuto un familiare ucciso o ferito e altri 4.800 hanno avuto la casa distrutta o danneggiata dalle esplosioni. «Molti bambini e famiglie avranno bisogno di sostegno psico-sociale per un lungo periodo», ha scritto l’agenzia dell’Onu per l’infanzia.
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