“Fecondazione, incostituzionale il no alla ricerca”
FIRENZE — Un altro attacco alla legge 40 sulla fecondazione assistita. L’ennesimo. Arriva da un giudice civile fiorentino, che solleva la questione di legittimità costituzionale del divieto di destinare alla ricerca scientifica gli embrioni che non vengono utilizzati per la procreazione perché malati o in sovrannumero. Le cellule che si ricavano da quegli embrioni sono studiate in tutto il mondo e anche in Italia, dove arrivano però da altri paesi proprio per le disposizioni della legge 40. Si tratta di un controsenso, che secondo il giudice fiorentino Patrizia Pompei, tra l’altro, è in contrasto con l’articolo 9 della Costituzione che promuove la ricerca scientifica quando questa sia collegata alla tutela della salute individuale o collettiva, che è tutelata dall’articolo 32. È la quinta volta che la legge finisce alla Consulta e sono decine le ordinanze dei giudici civili che hanno affrontato in questi anni i punti più spinosi della normativa come la diagnosi preimpianto, non più vietata, il numero massimo di embrioni che si possono generare o la fecondazione eterologa, su cui arriverà un’altra pronuncia della Corte Costituzionale.
L’ultimo ricorso è partito da una coppia milanese affetta da una malattia genetica che si è rivolta al centro fiorentino Demetra ed è assistita dall’avvocato Gianni Baldini. Si tratta delle stesse persone che hanno portato alla pronuncia del 2009 della Corte Costituzionale che ha tolto l’obbligo di utilizzare solo tre embrioni e di impiantarli tutti. Spiega l’avvocato Baldini: «Il divieto di utilizzo di embrioni non più utili per la procreazione e destinati ad auto distruggersi per finalità costituzionalmente rilevanti quali la ricerca collegata alla tutela della salute degli stessi pazienti o della collettività risulterebbe del tutto illogico e irragionevole». La donna che ha fatto il ricorso con il marito sintetizza così la sua scelta: «È un gesto di responsabilità , solidarietà e civiltà . Che senso ha che i miei embrioni malati debbano essere conservati al freddo fino alla morte? Perché non destinarli alla ricerca, perché siano utili a tutti i malati oggi incurabili? ». La professoressa Elena Cattaneo, direttore centro di ricerca sulle staminali Unistem dell’università di Milano, spiega: «Usiamo cellule embrionali che arrivano da vari paesi del mondo ma non dal nostro. Siamo cioè in una condizione incoerente e imbarazzante. Da quelle cellule otteniamo neuroni simili a quelli del cervello che potrebbero rivelarsi utili per problemi gravi».
Nello stesso procedimento è stata sollevata una questione di legittimità sul consenso informato. Secondo la legge 40 quando è stato creato l’embrione la donna non può tornare indietro revocando il consenso alla pma (la procreazione medicalmente assistita). La possibilità che una coppia cambi idea in questa fase è remota, ma la questione di principio è importante. La legge crea l’assurdo che quella donna che non vuole più il figlio debba comunque ricevere l’impianto e poi abortire. Il giudice ha ritenuto che questa situazione è contraria ai principi generali secondo i quali il consenso informato può essere revocato in qualsiasi momento.
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