Extraordinary rendition, sotto accusa l’Europa

by Sergio Segio | 18 Dicembre 2012 7:57

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Rendition è un termine che in un periodo recente è stato spesso nel vocabolario dei media e che invece da un po’ di tempo sembra appartenere al passato: non si sa per la minore incidenza del problema che esso esprime o per quella labilità  della memoria che attraversa la nostra informazione. Venerdì scorso ce lo ha ricordato la Corte dei diritti umani di Strasburgo che ha condannato la Macedonia per tortura e illecita detenzione per aver, appunto, detenuto illegalmente e torturato, un cittadino tedesco di origine libanese, Khaled El-Masri, al fine di trasferirlo in Afghanistan, dietro coordinamento e direttive della Cia e al di fuori di ogni procedura giuridica. Fermato, rapito, segregato, torturato e trasferito in un luogo di detenzione segreta nel territorio di guerra.
Un tipico caso di rendition, che finalmente trova, dopo molte denuncie sempre ritenute insufficienti a confermare quanto da lui dichiarato e dopo molti dinieghi delle autorità  macedoni, un punto fermo di chiarezza. E che getta luce su una serie di analoghe operazioni che si sono svolte con la complicità  attiva di Paesi europei, nell’ambito della guerra al terrorismo internazionale, lanciata dall’allora presidente statunitense, con metodi al di fuori delle norme internazionali.
Le notizie di questo caso erano giunte alle organizzazioni internazionali da tempo: El-Masri, che viveva a Ulm, era stato arrestato al suo ingresso in Macedonia il 31 dicembre del 2003; da allora era sparito e ricomparso in Albania e da qui in Germania nel maggio dell’anno successivo. Da subito aveva dichiarato di essere stato rapito, tenuto per giorni – la Corte ne accerterà  23 – in un albergo di Skopje dove era stato interrogato da agenti di cui non conosceva la nazionalità , ma che si rivolgevano a lui in inglese. Aveva dichiarato di essere stato picchiato a più ripetizioni, di essere stato poi trasportato, ammanettato e incappucciato, all’aeroporto della città  dove era stato nuovamente interrogato in un locale annesso e qui, oltre a essere nuovamente malmenato, di essere stato sodomizzato con un oggetto. Consegnato ad altri agenti, che lui non era in grado d’identificare, era stato imbarcato su un aereo e portato – egli disse «in un paese dal clima caldo» che non sapeva quale fosse. Qui, tenuto in condizioni di detenzioni ignobili, nuovamente sottoposto a interrogatori intervallati da botte e altri maltrattamenti per quattro mesi, fino a un suo sciopero della fame durato 37 giorni, durante il quale era stato forzatamente alimentato con un tubo mentre era tenuto legato. Una sequela di orrori terminati in quel maggio quando era stato messo nuovamente su un aereo verso l’Albania: pesava quasi 20 chili di meno rispetto al momento dell’arresto.
La sua denuncia fu immediata: raccontò tutto e divenne un caso visibile di quei fatti che taluni raccontavano attorno a voli segreti e consegne extra-legali di persone ad agenti della Cia, per essere interrogate in paesi al di fuori di occhi indiscreti e dove sulle pratiche di tortura si aveva una considerevole esperienza. Ma le sue denunce, riprese anche da organizzazioni non governative, non trovarono adeguata risposta. L’inchiesta tedesca si concluse inizialmente nell’impossibilità  di giungere all’identificazione degli agenti dell’intelligence americana che avevano operato; quella macedone negò ostinatamente qualunque coinvolgimento sostenendo che El-Masri era stato semplicemente riaccompagnato alla frontiera con il Kosovo e che null’altra azione era stata intrapresa, meno che mai la detenzione segreta nell’albergo. Una denuncia della America Civil Rights Liberties contro il direttore della Cia e un certo numero di agenti da identificare venne conclusa senza nulla di fatto dalla giustizia statunitense e tale esito confermato dalla Corte Suprema. Quest’ultima, proprio in questa occasione si espresse enunciando un principio in chiaro contrasto con il divieto inderogabile di tortura in ogni circostanza, affermando che l’interesse dello Stato a preservare la propria segretezza prevale sull’interesse individuale a ottenere giustizia; anche in casi così gravi.
Nel frattempo però la questione dei voli segreti, dei luoghi di detenzione illegali e della pratica delle rendition è emersa in Europa, sia a livello del Consiglio d’Europa, con l’indagine di Dick Marty sull’accondiscendenza e le complicità  di vari paesi con tali pratiche, sia a livello dell’Unione europea con l’analoga indagine condotta da Claudio Fava e sfociata in un sostanzioso e documentato rapporto. Anche il Comitato per la prevenzione della tortura cercò di avere chiarezza sul caso, quantunque le autorità  macedoni negassero anche le evidenze documentali, quali quelle date dai registri di volo di aerei dell’aviazione federale statunitense coincidenti nelle date e nelle destinazioni: spesso anche il controllo minimo di cosa e chi un aereo stesse trasportando era diventato un optional in qualche aeroporto.
Proprio la pressione delle molte evidenze portò nel 2009 una commissione ad hoc del Parlamento tedesco a dichiarare «credibile» quanto da El-Masri denunciato; in particolare relativamente alla sua detenzione in Macedonia e successivamente in Afghanistan. Dell’aereo utilizzato vennero trovate anche altre tracce di volo, sempre come staffetta con Kabul, ma con destinazioni Polonia, Romania, Marocco e Guantanamo.
Ora la Corte ha sentenziato che «al di là  di ogni ragionevole dubbio» è vero quanto dichiarato da El-Masri: le torture nell’albergo per più di tre settimane – all’ultimo piano dello Skopski Merak, in una bella zona, vicino all’ambasciata americana: le location dell’orrore sono spesso impensabili – le torture all’aeroporto e il trasferimento illegale verso un paese dove era prevedibile che si verificasse quanto realmente avvenuto. A lui un risarcimento di 60mila euro, a noi la fotografia di quanto è avvenuto sotto i nostri occhi miopi; e un avvertimento che ciò può sempre avvenire di nuovo.

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