Europa, terra d’asilo o di respingimenti?
Mentre a Manila, nelle Filippine, l’immigrazione è stata di recente al centro di un’apposita sessione del Forum Sociale Mondiale, a Bruxelles sono i rifugiati a entrare simbolicamente e fisicamente nelle istituzioni europee, per ricordare a parlamentari e commissari gli effetti delle politiche che promuovono e all’opinione pubblica l’urgenza di creare una cultura di rispetto e accettazione dell’Altro, capace di vigilare sulle decisioni di chi ci rappresenta.
Martedì 27 novembre fra le sessioni delle commissioni parlamentari si è inserito un incontro anomalo, intitolato “In ricerca dello spirito del buon samaritano”. A Là¡szlà³ Surjà¡n, vicepresidente ungherese del Parlamento e delegato per il dialogo interreligioso e interculturale, è succeduto in breve l’intervento di Philip Amaral del Jesuit Refugee Service – J.R.S., organizzazione presente in 14 paesi europei. “L’emarginazione sociale – ha raccontato Amaral – è la realtà che vivono molti rifugiati in Europa, nonostante il nostro continente cerchi di essere uno spazio di dignità e rispetto dei diritti umani. Per rendere quindi l’Europa veramente ospitale per chi cerca protezione bisogna dare voce ai rifugiati, partendo dai luoghi decisionali”. Non a caso a prendere la parola subito dopo è stato un rifugiato, Jacob Latif. Pakistano, 32 anni, Latif ha raccontato dell’arrivo in Italia nell’estate 2011, di come il suo status di rifugiato sia stato riconosciuto dalle istituzioni e delle persecuzioni quotidiane vissute dalla minoranza cristiana nel suo paese. “In Europa ho trovato libertà e sicurezza – ha terminato Latif – ma all’Europa chiedo di impegnarsi per chi è perseguitato in Pakistan e arriva qui. Dobbiamo fare tutto il possibile per aprire le porte a queste persone”. Un’ora più tardi, la scena si è ripetuta in uno spazio espositivo del Parlamento per l’apertura di “My life as a refugee”, esposizione di fotografie scattate da rifugiati in cinque paesi europei. Amaral e Latif hanno preso parola per ricordare l’impegno di J.R.S. e per sottolineare come la presenza di rifugiati, come relatori o come fotografi, nelle istituzioni europee impegnate a discutere bilanci e finanziamenti, sia un segno importante.
Sia che ottengano protezione e adeguato status legale, sia che rimangano in condizioni di disagio e invisibilità sociale, molti dei rifugiati in Europa ignorano probabilmente quanto le loro vite dipendano da decisioni prese a Bruxelles, in Commissione e in Parlamento. Le direttive europee hanno cercato di uniformare standard di accoglienza e di riconoscimento dei diritti per il milione e 600 mila rifugiati registrati in Europa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, un numero inferiore ai rifugiati presenti nel solo Pakistan a fine 2011. A creare un “Common European Asylum System” hanno contribuito in particolare le direttive sulle procedure di riconoscimento dello status, sulle qualifiche, ovvero sul tipo di protezione da attribuire ai rifugiati e sulle condizioni di ricezione, emanate dal 2003 in poi e recepite a livello nazionale. James Hathaway, fra i massimi studiosi in questo campo ne parla come di “un sistema non sempre rispettoso dei diritti garantiti ai migranti forzati dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e da altri strumenti di diritto internazionale”. Un punto critico, secondol’accademico canadese, è il regolamento di Dublino, che stabilisce nel primo stato di ingresso nell’Unione l’autorità competente per esaminare la richiesta di protezione e per approntare una prima accoglienza. “Un sistema che rischia di violare la libertà dei rifugiati di scegliere dove stabilirsi, già di per sé violata da normative restrittive per quanto riguarda la detenzione amministrativa, in aperto contrasto con la convenzione di Ginevra”.
Non a caso numerose organizzazioni stanno operando per una modifica sostanziale, se non per la revoca complessiva, di un regolamento che porta disparità di trattamento e implica costi sociali e economici elevati. Sul banco degli imputati anche la direttiva sulle procedure del 2005, in fase di revisione da parte delle istituzioni. European Council for Refugees and Exiles (E.C.R.E.) identifica come punti deboli la possibilità di forme di esame accelerato delle richieste di protezione, che rischiano di non tutelare soggetti vulnerabili come minori soli e vittime di tortura, e la possibilità di ritardare l’esame di alcune situazioni ritenute temporanee, come conflitti che provocano afflussi considerevoli (vedi la guerra in Libia). “Includere questa opzione nella direttiva – sottolinea E.C.R.E. – minerebbe alla base l’idea che bisogna offrire protezione a chi ne ha bisogno e quando ne ha bisogno, alla radice di tutti i sistemi di asilo. Ogni situazione è per definizione temporanea, e in ogni caso gli stati hanno strumenti per ritirare la protezione se cessa l’esigenza di proteggere”.
Appena modificata invece la direttiva sulle qualifiche del 2004, che dovrebbe contenere linee guida per applicare la convenzione di Ginevra e altre forme di protezione internazionale nell’U.E. Un problema chiave, a cui la direttiva cerca di rispondere, è la difformità fra stati europei nel riconoscere lo status di rifugiato. Una difformità che riguarda anche gli standard di accoglienza, a cui si riferisce la direttiva sulle condizioni di ricezione, la cui versione rivista deve essere approvata a breve.
Un Sistema Europeo Comune di Asilo sembra dunque ancora lontano, nonostante il 6 dicembre la presidenza cipriota dell’Unione abbia presentato una relazione ottimistica, commentando la quale la commissaria europea alla Giustizia e Affari Interni Cecilia Malmstrà¶m, ha rilevato come “il completamento a fine 2012 degli accordi legislativi riguardanti l’asilo in Europa sarà un risultato storico per l’Unione e i suoi membri”. A avvicinare però i rifugiati alle istituzioni ha pensato la campagna “SOS for human rights” inventata da una rete di organizzazioni tedesche. Nel suo “cult(o)ural protest” attivisti e giovani rifugiati attori hanno occupato gli spazi del Parlamento per richiedere da una parte un trattamento migliore per tutti quei rifugiati che la legge tedesca definisce “tollerati”, la cui presenza è autorizzata senza che però venga riconosciuto il diritto di partecipare in autonomia alla vita pubblica, e dall’altra canali di accesso sicuri in Europa per chi cerca protezione. Il 3 e 4 dicembre scorso i rifugiati hanno incontrato il vice-presidente tedesco del Parlamento Martin Schulz e messo in scena le esperienze tragiche dei viaggi verso l’Europa nelle piazze di Bruxelles.
Fotografi e attori, i rifugiati reclamano un posto attivo nelle nostre società . “Un posto – osserva il professor Hatahway – che la Convenzione di Ginevra garantisce assolutamente”. La convenzione rifletteva infatti “la preoccupazione degli stati europei per la massa di rifugiati che girava per l’Europa dopo il 1945 e per i possibili problemi di ordine pubblico che questo poteva portare. Per affrontare questo timore ha fatto una cosa semplice: ha stabilito diritti che rendevano i rifugiati equivalenti il più possibile ai cittadini nella partecipazione alla vita economica e sociale. In questo senso è uno strumento di empowerment formidabile e lungimirante, oltre che vincolante al di sopra di qualsiasi normativa nazionale o europea”. E’ forse quello, suggerisce Hathaway, che rischia di mancare nel sistema giuridico europeo, più preoccupato da un’armonizzazione formale delle normative e da un’idea di ordine pubblico vaga e ideologica che dai diritti di chi vive nello spazio di “giustizia, libertà e sicurezza”.
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