E Vendola toglie il veto sul leader Udc “Ma stop al rigore, qui serve Keynes”

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ROMA – Monti si dimette. Come giudica questa accelerazione, presidente Vendola?
«I fatti hanno la testa dura. Monti correttamente chiede alla politica qual è l’ultimo atto. È finita la legislatura. Procrastinare le agonie, prolungare la paralisi operativa quando invece è urgente mettere in campo decisioni, fare scelte sarebbe stato peggio. La cosa che mi ha più colpito in queste settimane è stato il giudizio ottimistico che Monti dà  sulla situazione del paese».
Lei è pessimista?
«Credo che ci sia una grave sottovalutazione del fatto che si sono aperte crepe gigantesche nel tessuto di coesione sociale del paese. C’è un’Italia che si è letteralmente schiantata, si è schiantato anche il ceto medio. E quando va in frantumi il ceto medio si mette in pericolo la tenuta democratica. C’è bisogno di un punto di rilegittimazione democratica delle istituzioni e della politica. È rivelatrice la confessione sincera del ministro Fornero: il suo sentirsi sotto attacco, col rischio di confondere ciò che è inaccettabile – e cioè la diffamazione, la contumelia o addirittura le minacce – da ciò che è critica politica. Per i tecnici di scuola liberista c’è sempre stato un dettaglio, chessò un esodato, che ha fatto saltare la perfezione scolastica dei modellini, come quelli di Fornero».
Ora che la situazione politica è precipitata, nel paese attraversato da un profondo disagio sociale, come si attrezza il centrosinistra, lei apre a un patto con Casini?
«Su questo dobbiamo dare una risposta chiara al popolo del centrosinistra e al paese. Se le primarie sono state solo una messa in scena e non il processo costituente di un nuovo centrosinistra, allora possiamo anche tornare a rinchiuderci nel Palazzo per fare i giochini che piacciono tanto agli strateghi della tattica. Se invece abbiamo intenzione di rispondere al populismo di Berlusconi non con una coalizione di Palazzo ma con quella alleanza di popolo che ha a cuore oggi innanzitutto il destino di precarietà  dei propri figli, la condizione di decadenza della scuola, ecco noi dobbiamo costruire un Polo progressista che può essere maggioritario, rappresentando la travolgente domanda sociale di cambiamento».
La risposta è “no”?
«Non è un veto sulle persone. Il punto è quali strategie, quali linee mettiamo in campo. Le politiche di austerità  stanno spingendo l’Europa verso una deriva recessiva. A Berlino, il presidente brasiliano Lula ha spiegato che dalla crisi si può uscire investendo in scuola, cultura, servizi sociali e lotta alla povertà , con un riformismo keynesiano, adattato alle diverse situazioni, si può far crescere l’economia. Noi abbiamo compiuto scelte come se fossero le uniche possibili. Dobbiamo discutere facendoci il segno della croce, come se l’austerity sia una religione? O possiamo dire che queste scelte diminuiscono i consumi, deprimono la domanda interna».
In concreto, con il centro “montiano” non dialogherete?
«L’agenda-Bersani non è sovrapponibile all’agenda Monti: su questa, si fa punto e a capo».
Con questa radicalità  rischiate di non governare?
«Rischiamo di non governare se non diamo speranza agli italiani, se non ci sono segnali persino di riparazione nei confronti di settori che sono stati particolarmente penalizzati. Se non diamo speranza, si rompe tutto».
Il centrosinistra è pronto, e affidabile agli occhi dell’Europa?
«Sì. E deve smetterla di avere paura delle proprie ragioni».
Si aspettava la spallata di Berlusconi?
«Un anno fa, quando il governo Berlusconi cadde, dissi “attenzione, Berlusconi esce da Palazzo Chigi ma non dalla scena politica”. Se la parte più aspra del risanamento se la intesta un altro governo, ricordai allora, finisce che il Cavaliere torna alla guida di una opposizione populista riuscendo nella magia di togliersi dal palcoscenico delle colpe. Non ha alcuna possibilità  di vincere, ma prova a suggestionare gli italiani. Esposto a vicende giudiziarie, con i suoi tentati dalla fuga in qualche scialuppa centrista, vuole sparigliare».


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