E la Lega si spacca sull’alleanza

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MILANO — Il dilemma di Maroni e gli altolà  del Veneto. Il dubbio-certezza sul «bluff» di Berlusconi. I grillini come (involontaria) risorsa. Nella Lega sono giorni di discussioni accese. La ridiscesa in campo dell’ex premier scompiglia le strategie padane, e pazienza se il ritorno era tutto tranne che inatteso.
Il fondatore del Pdl domenica ha rilanciato la palla nel campo leghista: «Abbiamo deciso di sederci a un tavolo con la Lega e di partire dall’alleanza nazionale e di scendere, positivamente per loro, all’alleanza in Lombardia». La traduzione è agevole: Maroni sarà  il candidato presidente della Lombardia anche per il Pdl, sempre che prima sottoscriva l’alleanza a livello nazionale.
Per buona parte della Lega, un incubo. Il passato faticosamente lasciato alle spalle che cerca di trascinare a fondo il presente: «Un film di zombie» dice un dirigente lombardo. Ma le reazioni più nette arrivano dal Veneto. Il governatore Luca Zaia premette che le decisioni sulle alleanze le prendono Maroni e l’assemblea del movimento. Ma «fino a prova contraria, la Lega va da sola alle prossime elezioni politiche». Assolutamente esplicito anche il vicesegretario federale del Carroccio, Federico Caner da Treviso. Che in un’intervista ad Affaritaliani.it scolpisce: «Bisogna andare da soli. Col Pdl è impossibile fare le riforme. E poi è molto facile che il Pd vinca le elezioni, meglio stare fermi un giro». Quanto all’altro uomo forte del Veneto, Flavio Tosi da Verona, sull’ex premier mai ha avuto dubbi: piuttosto che l’alleanza, «meglio spararsi un colpo in testa». Là  nelle terre della Serenissima c’è chi arriva a sbuffare che «Maroni è in conflitto d’interessi».
Già , perché in zona segreteria federale, suona tutta un’altra canzone. Primo, ed è lo stesso Maroni a dirlo, «io non sono convinto che questa decisione di Berlusconi di ricandidarsi verrà  mantenuta: potrebbe non essere lui il candidato». I leghisti ritengono infatti che, se i sondaggi continuassero a castigare il Cavaliere, sarebbe lui stesso a fare il passo indietro, a metà  gennaio, a favore di «un candidato giovane, ricco, e dalla parlantina sciolta». Così, almeno, lo descrive un leghista assai vicino al segretario. Lo stesso che sintetizza il dilemma leghista: «La domanda, per noi, è: perdere a Roma e vincere in Lombardia con Maroni, o fare un corsa dell’orgoglio identitario in cui vincere è impossibile?». Tra l’altro, Maroni ieri ha anche chiarito che non si candiderà  alle Politiche anche se dovesse perdere in Lombardia: «Sarò senza paracadute perché è giusto che sia così».
Di più. I leghisti vicini al segretario ritengono anche che il Movimento 5 Stelle, in qualche modo, lavori a favore di un rinnovato centrodestra: «Il premio di maggioranza al Senato è su base regionale. E se vincessimo al Nord, i senatori dell’opposizione sarebbero divisi tra Grillo e Pd. Decisamente una buona notizia». Beninteso, per chi punta sull’ingovernabilità . Resta il fatto che l’idea di legare i propri destini a quelli del Cavaliere non entusiasma proprio nessuno. Lo stesso Matteo Salvini, maroniano di ferro, ieri brontolava che «la figura di Berlusconi non aiuta, mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa di nuovo. Con Berlusconi torniamo indietro di 18 anni».
Marco Cremonesi


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