Dalla Pozzi alla Rosselli Il senso lirico delle donne

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Lungo è l’elenco delle donne poeta morte suicide: Anne Sexton e Sylvia Plath, Nadia Campana e Antonia Pozzi, Marina Cvetaeva e Amelia Rosselli… E perché no, io ci metterei anche Sarah Kane, la drammaturga, che è davvero poeta. E Virginia Woolf. E la più lontana di tutte, ma quanto vicina nell’anima: Saffo, che secondo una leggenda ripresa da Ovidio e da Leopardi si gettò dall’alto di un faro nel mare aperto, per amore.
La parola di cui queste donne si appropriano in modo tanto creativo, dunque non le cura, non le salva. O solo in parte. A volte le mette in contatto con zone oscure e pericolose dell’anima. Con verità  impossibili da portare alla luce. Verità  scomode. Che le donne hanno custodito nel silenzio del chiostro o nell’inferno della follia. Conventi e manicomi sono stati luoghi di reclusione della parola di donna. Tra grida e silenzi però ci sono arrivati anche versi di rara potenza espressiva e di una forza comunicativa sorprendente. Come nel caso di quelli raccolti nel Meridiano Rosselli.
Si sa: la forza di un Meridiano – la collana che cura Renata Colorni – consiste nella sua potenza inclusiva: un autore tutto intero in un volume (o in più volumi, se particolarmente prolifico): tutto lì, presente, in mano al lettore. E l’effetto di piacere (e di possesso) si raddoppia nel caso di autori per loro intrinseca natura “disseminati”, “frantumati”. Così finora io avevo percepito Amelia Rosselli: come un corps morcelé, per dirla con Lacan, un corpo in frammenti. Sì, lei, esposta al destino storico della sua famiglia, lei in bilico tra lingue e culture, lei musicista e poeta, lei così fragile e nervosa, dura e pura – e chi l’abbia conosciuta lo ricorda – lei così saggia e così folle, così reale e insieme capace di allucinare il reale, mi era sempre apparsa, alla lettera, presa a morsi da una smania che la sbranava.
Ora la trovo qui “riordinata”, “inclusa” in una collana, dove per l’appunto si accolgono i “grandi” poeti e scrittori. E sono felice: intanto, perché una donna – e non sono molte, ancora – entra nel pantheon. E poi perché la sua entrata è accompagnata dall’intelligenza e dall’amore di chi da anni la studia, Emmanuela Tandello; e dall’alacre acribia di Silvia De March e Stefano Giovannuzzi, di Gabriella Palli Baroni, Francesco Carbognin, Chiara Carpita… Una vera e propria officina dove la scienza esatta del testo si accompagna a una profonda empatia. E che bella la cronologia, dovuta ai primi due: un brillante compendio di storia patria, intellettuale e politica, che vede come protagonisti insieme a Amelia gli esponenti di una tradizione tra le più nobili del paese.
Anni fa, per definire Amelia Rosselli m’erano venute alla mente due immagini; quella del “paria”, che mi offriva Hannah Arendt; e quella dello “sradicamento”, che usava Simone Weil. Leggevo le sue poesie in inglese; e mi colpì come Amelia volesse straniarsi in quella lingua. Perché anche quella lingua non è la sua. Come non sono “suoi” né l’italiano né il francese. Amelia, del resto, non cerca una lingua sua. Non è la prima, non è la sola. Basta pensare a Beckett – che sceglie di scrivere in francese. I motivi sono diversi, ma uno stesso, non troppo segreto scopo accomuna i due artisti: la sconfessione che esista una lingua madre: semmai, la lingua del poeta è quella che lui crea, la lingua è figlia.
Questo fatto biografico – vivere in più lingue – consegna Amelia al suo destino di grande apolide; la conferma nella sua condizione di straniera. Ma oggi grazie a questo Meridiano ho capito che Amelia Rosselli è sì straniera, ma perché è poeta. Perché “straniera” è la poesia. Ha ragione Jakobson: la poesia è una “patologia” della lingua. Una “follia” della lingua. Come spiegare altrimenti che d’improvviso si spezzi a quel modo, piuttosto che avanzare sulla pagina fino a riempirla? Perché s’incapriccia nella rima? Perché cerca il ritorno del verso e si contorce in assonanze, in allitterazioni? In poesia la lingua gioca e accade che nel disordine del vocabolario e della grammatica si insinui un altro significato. Il poeta cerca la verità  della parola non nella sua pertinenza rispetto al senso, ma esponendosi a una vera e propria espropriazione. Ecco l’eccentricità  di Amelia Rosselli poeta.
Incontravo spesso Amelia negli ultimi anni. Confesso che quando mi parlava delle sue ossessioni come fossero realtà , io le credevo. Sì, credevo che oscure forze la perseguitassero. Era “vero”? Non so, ma la sua angoscia mi persuadeva. Accadeva poi che in poesia il poeta calmava quell’angoscia. Quell’angoscia ha sempre nutrito la sua poesia? Non so. Ma se ha senso cercare le ragioni della poesia nelle radici biografiche del poeta, esse sono tutte qui, ora, a nostra disposizione. Basta leggere con attenzione la già  lodata “Cronologia”.
Quello che più conta però è il segreto della creazione poetica, cui Emmanuela Tandello ci introduce invitandoci a coglierlo nella «tensione tra l’opera e la storia del suo costituirsi». È l’opera che costruisce il suo autore. Questo Meridiano lo descrive perfettamente. In questo senso ci consegna un corpo intero, il corpus poetico di una donna che “si fa” poeta.
Poeta, sì. Proprio come le tante che abbiamo nominato all’inizio. Nomi che ricordano a tutti quel legame tra poesia e sensibilità  estrema. Nomi che noi vogliamo ricordare per la grandezza della loro poesia, non solo per la scelta e il senso di una fine.


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