Compromesso bancario

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Prendiamo il «regalo di Natale» che l’eco-fin ha impiegato 14 ore di negoziati ad impacchettare per il Consiglio europeo di ieri e oggi: si tratta della supervisione bancaria. Per il resto, l’approfondimento dell’unione politica, in particolare per la zona euro, dovremo ripassare, una volta passate non solo le elezioni tedesche del settembre 2013, ma anche quelle europee del 2014. La Francia e La Germania, profondamente divise sui passi che nel futuro dovrebbero portare alla mai nominata «Europa federale», si sono almeno messe d’accordo sulla supervisione bancaria, il primo passo dell’Unione bancaria, che dovrà  comportare la garanzia dei depositi. Invece, i due documenti che erano sul tavolo del vertice dei capi di stato e di governo – il testo della Commissione e quello del presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy – sono rimessi nel cassetto in attesa di tempi migliori.
L’accordo verte sul quadro giuridico e sul perimetro comune per la sorveglianza delle banche europee. Il compromesso, dopo sei mesi di trattative e 14 ore di braccio di ferro finale nella notte tra mercoledì e giovedì dei ministri delle finanze dei 27, comporta un importante trasferimento di sovranità  dagli stati nazionali alla Bce e a un comitato di pilotaggio comunitario. La sorveglianza entrerà  in atto dal 1° marzo 2014, ma se prima di questa data ci sarà  un problema in qualche banca sistemica, la Bce potrà  intervenire. Tra 150 e 200 grandi banche europee verranno sorvegliate direttamente dalla Bce: si tratta delle banche che pesano più del 20% del pil dello stato di provenienza o che godono di un programma di aiuti. Per le banche più piccole, come voleva la Germania, restano i controllori nazionali. A termine, i fondi di soccorso della zona euro potranno intervenire direttamente per ricapitalizzare le banche in crisi. Ci sarà , come hanno chiesto Germania, Olanda e Finlandia, una «condizionalità » precisa, cioè il rispetto dei programmi di riforme strutturali richieste da Bruxelles. L’accordo non è però retroattivo. A rimetterci, nell’immediato, è la Spagna con le sue banche traballanti. L’aiuto di cui hanno avuto bisogno le banche spagnole (100 miliardi promessi nel giugno scorso) andrà  a gravare sui conti pubblici. In altri termini, per Madrid non sarà  spezzato il circolo vizioso tra crisi delle banche e crisi dello stato, che peraltro è l’obiettivo dell’Unione bancaria e del suo primo atto, la supervisione. Per evitare una spaccatura senza ritorno tra i 17 paesi della zona euro e i 10 (presto 11, con la Croazia) che non hanno adottato la moneta unica, è stato messo a punto un sistema di doppio voto (e doppia maggioranza) tra i due gruppi, per evitare che i paesi non euro – e in particolare quelli, come Svezia, Repubblica ceca e Gran Bretagna, che non intendono entrare nell’Unione bancaria – si facciano sistematicamente dominare dal nocciolo duro dei paesi euro. 
I commenti sono favorevoli. Franà§ois Hollande si è felicitato per un «accordo di primaria importanza, globale», che conferma «la volontà  di vegliare assieme alla stabilità  del sistema bancario della zona euro e al di là ». Angela Merkel ha parlato di «valore inestimabile» dell’accordo e ha ringraziato il ministro delle finanze Wolfang Shà¤uble per «aver imposto le rivendicazioni centrali della Germania», cioè il bastone subito e la carota, forse, domani. 
Intanto, la Bce ha rilanciato ieri l’allarme sull’occupazione nella zona euro: la banca centrale annuncia un «ulteriore incremento» del numero dei senza lavoro, che già  sono, ufficialmente, l’11,7% della popolazione attiva dell’Eurozona (dati di ottobre). Per il rilancio dell’economia bisognerà  aspettare. Eppure, la Germania ha già  ceduto qualcosa: sono stati creati due fondi di aiuti per i paesi in crisi e la Bce è ormai ai comandi dei salvataggi con la promessa di intervenire in modo «illimitato». 
Per l’approfondimento e l’Unione politica bisognerà  aspettare tempi migliori. In Germania le elezioni bloccano ogni decisione. In Francia, Hollande ha paura di riaprire la piaga dello scontro a sinistra che era esploso con il referendum sul Trattato costituzionale del 2005 (aveva vinto il «no», ma il Ps aveva indicato di votare «sì»). La Gran Bretagna, rassicurata sul fronte del mercato unico – la sola cosa che interessa davvero Londra – non metterà  veti sulla supervisione bancaria.


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