Cipro, il paradiso fiscale perduto nella crisi dell’euro

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Nel giugno scorso, a pochi giorni dal passaggio del testimone presidenziale, il primo ministro cipriota Demetris Christofias avanzava ufficialmente una richiesta d’aiuto all’Unione Europea per far fronte alla disastrosa situazione in cui tuttora versa il sistema bancario dell’isola. Un accordo non è ancora stato raggiunto ma, secondo indiscrezioni confermate dalla stampa specializzata, l’entità  del bail-out richiesto è da capogiro. Si parla di almeno 12 miliardi di euro, circa due terzi del prodotto interno lordo dell’isola. Di questa cifra, un terzo servirebbe a coprire l’esposizione delle banche cipriote al debito ellenico, mentre i rimanenti otto miliardi servirebbero a ricapitalizzare il sistema finanziario cipriota che – come forse non tutti sanno – è ben noto nella comunità  internazionale di tributaristi e consulenti finanziari come paradiso fiscale tra i migliori della zona euro.
Oltre a un trattamento fiscale di favore, Cipro offre totale segretezza per le società , così da renderne i proprietari irrintracciabili. E’ possibile, quindi, che un cittadino Ue, o un’impresa con sede in Italia o Germania, apra una società  a Cipro e attraverso pratiche assolutamente legali e in linea con «le più ferree» direttive Ue vi trasferisca assets e profitti così da essere tassati a un valore simbolico, rimanendo anonimi, e – soprattutto – dentro alla Ue, dove, a differenza di altri staterelli caraibici, la protezione della proprietà  privata è assicurata da inattaccabili accordi comunitari e internazionali. Con le tasse sul reddito d’impresa al 10%, le più basse nell’Unione Europea, facili possibilità  di elusione su capital gains (plusvalenze) e zero tasse su dividendi, eredità  e donazioni, è facile intuire come sia possibile che la ricchezza finanziaria made in Cipro’ posseduta da non-residenti sia triplicata nel giro di pochissimi anni e sia arrivata a valere più di 100 miliardi di euro nel 2009, ben sei volte il prodotto interno lordo.
Tutto questo mentre i parametri di riferimento per accedere alla zona euro – inflazione, deficit e tasso di cambio – oscillavano solo moderatamente, col debito pubblico addirittura in discesa di 20 punti. E tanto è bastato alla Banca Centrale Europea per aprire le porte a Cipro il primo gennaio 2008, senza stare troppo a guardare al deficit delle partite correnti, pari a 15 punti di PIL, allo spettacolare indebitamento del settore privato (che, solo per le imprese, nel 2008 ammontava al 160% del Pil) e alla bolla immobiliare ormai del tutto evidente e destinata a sgonfiarsi di lì a poco. Né si è dato peso all’opacità  del sistema di governance finanziaria o al fatto che, curiosamente, Cipro fosse diventato il più grande investitore estero in Russia. Ovviamente, non si trattava di veri investimenti diretti esteri (…). Si tratta di società  cuscinetto di proprietà  russa (seppur segreta e registrata a Cipro), pronte a raccogliere capitali in uscita da Mosca (…). Il tutto – ed è la cosa veramente sorprendente – in maniera assolutamente legale e in un Paese nel cuore dell’Ue e della zona euro (…).
La versione completa dell’articolo è su www.sbilanciamoci.info. L’autore è un esperto di questioni europee che vive a Bruxelles. Nella mitologia greca, Agenore è il padre di Europa.


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