CHI GIOCA ALLO SFASCIO
Aver bloccato l’accordo sulla riforma elettorale, equivale infatti a congelare l’attuale sistema dei partiti. Il leader del Pdl ha bisogno proprio della peggiore legge elettorale, il Porcellum, per tentare di conservare un ruolo nel prossimo Parlamento. È pronto anche a digerire il consistente premio di maggioranza a favore del Pd pur di mantenere le liste bloccate. Ha bisogno di eleggere alla Camera e al Senato un manipolo di fedelissimi rispolverando il vecchio emblema di Forza Italia. Magari anche di far risorgere come uno zombie la Casa delle libertà inventata ben undici anni fa. E piazzare ai suoi fianchi due ancelle: una nuova Alleanza nazionale fatta con quel che resta di tutte le schegge dell’ex Msi e qualche esponente ex democristiano uscito indenne dall’esplosione del Pdl.
Ma l’effetto del Porcellum, non si vedrà solo sul centrodestra. Berlusconi sa di avvantaggiare numericamente chi uscirà vincente dalle primarie del centrosinistra. Ma questo potenziale vantaggio rischia di sterilizzare di fatto il progetto politico costruito dal Partito democratico e in particolare da Pierluigi Bersani. Può insomma incrinare l’idea dell’alleanza con il centro, quello di Casini e quello della coppia Riccardi-Montezemolo. L’indicazione del candidato premier (nella legge si parla di capo politico della coalizione) e il ragguardevole premio di maggioranza previsto almeno a Montecitorio, indurrà probabilmente il Pd e la Sinistra e Libertà di Vendola a “correre” da soli con un’unica lista. A rinunciare dunque ad allargare verso i moderati. E nessuno può escludere che in questa competizione, Bersani (o Renzi) possa trovarsi nella necessità di ricucire pure un rapporto con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.
A parti invertite, il medesimo effetto si abbatterà sui centristi. Che, incapaci di reggere davanti ai loro elettori un patto con Vendola, allo stato non sono intenzionati a siglare un’intesa “preelettorale” con il centrosinistra. Le ripercussioni si svilupperanno quindi almeno su due livelli: Casini e i “montiani” dovranno acconciarsi a organizzare un’unica lista. La soglia di sbarramento al Senato fissata all’8% potrebbe essere altrimenti un ostacolo insormontabile. Ma soprattutto si indebolisce l’ipotesi di disegnare un ruolo per l’attuale presidente del consiglio Monti. In sostanza perde peso il progetto di creare uno spazio per il cosiddetto Monti-bis. Il Professore infatti ha meno margini di candidarsi come “capo politico della coalizione”. Anche perché – almeno a leggere i sondaggi dovrebbe correre il rischio di schierarsi alla guida di un’alleanza con poche chance di prevalere. Inoltre, se il Pd vincesse le elezioni indicando Bersani premier e potendo contare sul premio di maggioranza alla Camera, chi potrebbe chiedere al segretario democratico di farsi da parte? Anche nel caso in cui l’alleanza Pd-Sel fosse maggioranza relativa al Senato e quindi dovrebbe chiedere i voti dei centristi, quale giustificazione politica potrebbe essere addotta per persuadere il “vincitore” a fare un passo indietro? Certo, un centrosinistra con un asse spostato a sinistra potrebbe lasciare qualche spazio in più al listone centrista dal punto di vista elettorale, ma non sulla scelta del presidente del Consiglio. Semmai crescerà la capacità del “nuovo centro” di influenzare l’elezione del presidente della Repubblica. Il primo atto della prossima legislatura e probabilmente l’architrave su cui si baseranno tutti gli eventuali patti tra Bersani e Casini.
Ma il mantenimento dell’orribile Porcellum determinerà un ulteriore effetto: dare fiato all’antipolitica e alla demagogia grillina. Perché Grillo usufruirà di tutti i benefici di un sistema elettorale che “nomina” dall’alto i parlamentari e nello stesso tempo sparerà alzo zero sulla “casta”.
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