by Sergio Segio | 3 Dicembre 2012 8:36
Paura di essere cacciati da una casa che non possono chiamare casa, di perdere la miniera delle macchinette che distribuiscono bibite, di rinunciare al tesoro dei cestini che al terminal si riempiono in fretta di bottiglie.
Athanasios e Albena vivono sotto i soffitti tutto vetro nei corridoi lisciati dell’aeroporto di Monaco di Baviera. «Qui è meglio che da qualsiasi altra parte». Il senso ecologico dei tedeschi garantisce l’elemosina, pochi centesimi per ogni pezzo di metallo o plastica raccolto nella spazzatura e portato ai centri per il riciclo. «Gli uomini della sicurezza per ora ci lasciano andare in giro, non ci buttano fuori», racconta Athanasios al giornale locale Sà¼ddeutsche Zeitung.
Ex deejay radiofonico ed ex proprietario di una discoteca a Salonicco, ex cuoco ed ex lavapiatti in Germania, si è piazzato sei mesi fa in sala d’aspetto, lui che non si aspetta più nulla. La miseria lo ha incastrato con la compagna in questo non luogo, a dormire sulle panchine di plastica «troppo dure», senza poter sentire la notte arrivare, le luci al neon non vengono mai spente. «Meglio che tornare in patria, lì non avremmo alcuna possibilità ». Lì la disoccupazione ha superato il 25 per cento.
Athanasios e Albena erano partiti cinque anni fa, prima che il crollo economico di Atene ingurgitasse anche la speranza. Hanno girato la Germania dove in questi anni l’immigrazione dalla Grecia è tornata a crescere: del 78 per cento nei primi sei mesi del 2012, 15,838 nuovi concorrenti per la coppia che ancora parla un cattivo tedesco. I posti ci sono ma per i lavoratori specializzati, quelli che a Berlino mancano.
Cinque settimane fa in aeroporto li ha raggiunti Nikolai, il figlio quindicenne di Albena, che a Salonicco era arrivata dalla Bulgaria. La vita nel Terminal ha i ritmi e le umiliazioni di quella trascorsa da Tom Hanks nel film di Spielberg: le guardie che ogni notte passano a controllare i documenti che hanno già visto, l’irritazione sbrigativa di chi corre verso il gate e deve superare l’intralcio di una famiglia accampata sotto le coperte, i panini al formaggio che riempiono tutti i pranzi ma non lo stomaco.
I giovani greci senza lavoro sono ormai il 54 per cento e per loro è più difficile accettare l’idea di andarsene, di lasciare il Paese come hanno fatto in passato i loro parenti. Sono cresciuti negli anni Novanta delle sovvenzioni europee, nell’Atene lustrata da 8.594 miliardi di euro spesi per le Olimpiadi del 2004. Da porto di partenza la Grecia era diventata la meta per gli immigrati pachistani, afghani, nigeriani, quelli che adesso vengono perseguitati dai neonazisti di Alba Dorata.
Athanasios e Albena non riescono a trovare neppure un letto nei dormitori per i senza tetto. Dove hanno tentato, sono stati respinti: «qui non vogliamo bulgari». Non hanno accesso al sussidio d’emergenza perché sono cittadini dell’Unione europea e hanno familiari in vita nel Paese di provenienza. Senza domicilio le leggi tedesche non permettono di ottenere l’assicurazione sanitaria, senza l’assicurazione non è possibile ottenere un lavoro. Come indigenti avrebbero diritto a un biglietto di ritorno: preferiscono il loro terminal alla Grecia terminale.
Davide Frattini
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