by Sergio Segio | 31 Dicembre 2012 10:01
Piuttosto assomiglia a una lotta miope per occupare lo spazio lasciato libero da un Pdl sempre più in fase di disgregazione e recuperare il voto in libera uscita verso
l’astensionismo o la demagogia.
Dopo la “salita” in politica di Mario Monti, insomma, quei partiti che hanno costituito il vero architrave dell’esecutivo tecnico, l’asse che ha permesso all’Italia di uscire da quel vortice che la stava trascinando nella spirale greca del fallimento, d’un tratto hanno spezzato la loro sintonia. Il Partito democratico, i centristi di Casini e lo stesso presidente del Consiglio si sono tuffati in una competizione che a questo punto rischia di compromettere quanto di buono è stato fatto negli ultimi tredici mesi.
Il problema non è la nascita di questo agglomerato di liste centriste intorno alla figura di Mario Monti, ma le modalità con cui questa nuova realtà si sta affacciando sulla scena politica. L’impressione è che la naturale alleanza in questa fase tra soggetti che si richiamano alla cultura europeista e che nella sostanza indicano la medesima strada per la crescita del Paese, venga messa in discussione da una deficitaria capacità di dare ordine alla loro collaborazione. La comune responsabilità assunta nell’arco del 2012 avrebbe dovuto consigliare una regia altrettanto “comune” nelle scelte elettorali. Coordinare per tempo la “salita” in campo del Professore con le decisioni assunte dal partito di Bersani, avrebbe probabilmente consentito di schivare lo scontro che si è aperto in questi giorni. Era ad esempio semplice prevedere che dar vita ad un nuovo soggetto politico dopo le primarie del Partito democratico non poteva che avere un unico effetto: lanciare il guanto di sfida al candidato premier indicato da quasi due milioni di cittadini. Le modalità e soprattutto i tempi per la nascita del Centro, insomma, non sono stati certo ottimali. Manca una “regia”. Manca l’interprete di un’alleanza che nell’ultimo anno ha dimostrato di funzionare. Certo, in occasione della nascita del governo Monti, le funzioni del “regista” sono state svolte dal presidente della Repubblica Napolitano. Il suo compito istituzionale, del resto, era esattamente quello di garantire il buon funzionamento dell’esecutivo tecnico e assicurare il salvataggio della scialuppa-Italia. Ora quel compito non può più essere ricoperto dal capo dello Stato. E infatti si sta giustamente tenendo lontano dalle conflittualità tipiche della campagna elettorale.
Ma la mancanza di un “coordinatore” sta deflagrando con tutta la sua forza. Se il Professore e il segretario democratico non intervengono rapidamente
rinnovando una qualche forma di concerto, le conseguenze ricadranno sull’intero sistema politico e sulla sorte della prossima legislatura. Il centrodestra di Berlusconi, per ora senza fiato, avrà la possibilità di prendere una boccata d’ossigeno. I movimenti più demagogici come quello di Grillo potranno nuovamente urlare al pastrocchio. In questo quadro inevitabilmente l’apparato del Pd si sentirà legittimato ad assecondare la potente forza inerziale impressa dal successo delle primarie. E i centristi autorizzati ad affidarsi al motto “competition is competition”.
I detriti di una pesante campagna elettorale, però, non si potranno disperdere il 25 febbraio. Il polo progressista e quello moderato devono aver chiaro che a urne chiuse le ferite dello scontro non si chiuderanno immediatamente. E il senso della coalizione (senza la destra berlusconiana) sperimentata nell’ultimo anno con il sostegno più convinto al ministero dei tecnici, rischia di naufragare ben prima del voto. Tenendo presente che uno scontro senza regole, senza l’ambizione di concordarne il perimetro, può produrre un effetto pericolosissimo per entrambi gli schieramenti: schiacciare a sinistra il blocco bersaniano e spingere a destra quello montiano. E in effetti i nuovi moderati sembrano muoversi su un confine piuttosto scivoloso, attenti a rimanere equidistanti rispetto al centrosinistra e al Pdl. Il miraggio di una resurrezione Dc sembra incoraggiare un’imparzialità che sorprende soprattutto alla luce del bilancio vergognoso conseguito dal ventennio berlusconiano e in considerazione delle ingiustificabili (e spesso contraddittorie) provocazioni compiute in questi giorni dal Cavaliere. Eppure nessuno come il premier sa quanto sia stata disastrosa l’azione di Berlusconi sul piano economico e culturale. Quale saldo l’Italia debba ancora pagare. E quanto sia stato ed è ancora dannoso il leader del centrodestra per l’immagine del Paese all’estero. Quanto la sua figura venga percepita in Europa come una calamità .
Proprio le emergenze che gli italiani devono affrontare, la fame di lavoro, la richiesta di equità , la necessità di ristabilire un ordine nelle priorità del futuro, dovrebbero indurre i capi degli schieramenti progressista e centrista a cercare “prima” delle elezioni almeno un coordinamento, un patto di non belligeranza, per realizzare “dopo” una vera collaborazione di governo. Perché senza una convenzione tra le forze di centrosinistra e i moderati, il Paese difficilmente uscirà dal tunnel costruito dalla destra populista e demagogica, e la lunga transizione italiana non troverà ancora una conclusione.
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