Cave e pecore alla diossina

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Da lì parte l’inchiesta denominata «Ultimo atto carosello» che ha messo in luce un sistema ecomafioso dedito allo smaltimento illecito dei rifiuti tossici. Il 27 dicembre si completerà  la requisitoria del Pubblico ministero e si conoscerà  la posizione dei circa 40 imputati, tra cui tre carabinieri e tanti imprenditori ritenuti coinvolti nel business illegale.
Una storia che si intreccia con quella di un pastore, Alessandro Cannavacciuolo che dall’oggi al domani vede morire le sue pecore. Nel latte trovano 51 picogrammi di diossina (il massimo tollerato è 3). Iniziano a nascere pecore deformi, malate, morte. Non sapeva ancora che sotto i terreni dove portava a pascolare il suo gregge c’era di tutto: liquami industriali, scarti di acciaierie, solventi, amianto, scarti di vernici, polveri di camini industriali e quant’altro producevano la Enichem di Siracusa, la Decoindustria di Pisa e la Nuova Esa di Porto Marghera. Ma non solo. Mercurio, cadmio, alluminio, rame, zinco, idrocarburi, oli minerali, solventi, diossine; questi alcuni dei veleni rilevati dall’Arpac e dai periti di fiducia del pm nei terreni contaminati.
Per la Dda di Napoli è il «sistema Pellini», dal nome degli imprenditori considerati legati al clan Belforte di Marcianise che per anni hanno monopolizzato lo smaltimento dei rifiuti tossici. In un modo molto semplice secondo il pm Maria Cristina Ribera: scavando buche nei terreni e tombando tonnellate di rifiuti altamente nocivi. O trasformandoli in compost attraverso la tecnica del «giro bolla». In pratica, secondo la Procura, bastava falsificare l’etichetta che contrassegna ogni rifiuto (codice Cer) e da nocivo diventava fertilizzante per il terreno. «Peccato che dove spargevamo questo “compost”, sulla terra non cresceva più niente» denunciano i contadini alle telecamere di Corriere Tv. In un solo anno (il 2002) smaltirono 300 mila tonnellate di rifiuti cancerogeni. Tutti per un prezzo imbattibile: 1-2 centesimi di euro al chilo anziché i circa 60 centesimi richiesti dal mercato. Con guadagni per svariati milioni di euro. Tra i grandi contratti in portafoglio, anche uno con la Banca d’Italia. In alcuni impianti, infatti, sono state ritrovate banconote triturate in lenta combustione. A Giugliano la stessa tipologia di rifiuti era a contatto con una falda acquifera.
Questi i temi della prima di tre puntate dedicate alle ecomafie in Campania. Nelle due successive approfondiremo in che modo la camorra ha utilizzato le grandi infrastrutture, (come un intero raccordo autostradale o un centro commerciale) per nascondere i rifiuti tossici di mezza Italia. Ma andremo anche in uno dei posti più suggestivi di Napoli, il Parco nazionale del Vesuvio. Un’area che dovrebbe essere protetta e dove invece abbiamo ripreso, tra le pinete secolari, un’intera valle occupata da frigoriferi, lavatrici e scarti di industrie tessili.


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