Campanili addio. E ogni cittadino risparmia 31 euro

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ROMA — Il dilemma è: dove si troverà  nel prossimo futuro «via Piave»? A Rivignano oppure a Teòr? E quale delle due «via Vittorio Veneto» oggi esistenti sarà  costretta a cambiare nome? Perché non c’è dubbio che un Comune non potrà  avere strade diverse chiamate allo stesso modo. Impazzirebbero quelli dell’anagrafe, i carabinieri, i postini. Per evitare poi spiacevoli discussioni, in quei due paesi della Provincia di Udine distanti tre chilometri l’uno dall’altro si sono accordati in anticipo sul da farsi, prima di mandare i loro cittadini a votare per il referendum che domenica ha stabilito la fusione dei due municipi. Il futuro Comune unico di Rivignano-Teòr avrà  una sola «via Piave», e delle due sarà  quella più abitata. Idem per «via Vittorio Veneto» e gli altri doppioni. Sarà  un problema per le mappe dei navigatori satellitari, ma è il prezzo minimo da pagare.
Perché non è cosa di tutti i giorni che nell’Italia dei campanili, spesso irragionevolmente difesi, due Comuni facciano un referendum per fondersi. Avendo già  stabilito la gerarchia delle strade, e deciso che il municipio avrà  sede nel più grande dei due (Rivignano, 4.453 abitanti) mentre il più piccolo (Teòr, 1.997 anime) ospiterà  gli uffici tecnici: quattro dipendenti in tutto. Però è incredibilmente successo. Ed è pure capitato che abbiano vinto i sì: 97% a Rivignano e 73% a Teor. Vero è che hanno votato 44 teoresi e 39 rivignanesi su cento. Ma è comunque un miracolo.
Quanto sia difficile mettersi insieme lo sanno bene in Valsamoggia, nell’Emilia-Romagna, dove il referendum consultivo che avrebbe dovuto sancire la fusione di cinque piccoli Comuni si è chiuso con una specie di pareggio: i sì hanno prevalso per 327 voti, ma in due dei cinque i «no» sono risultati più numerosi. Con la conseguenza che adesso la patata bollente è nelle mani della Regione. E dire che lì erano scesi in campo anche big della sinistra del calibro di Massimo D’Alema.
Come lo sanno nel comasco, se è vero che a febbraio del 2011 è bastata la proposta di fondere Rumo, Germasino e Gravedona (4.235 abitanti in tutto), per scatenare l’insurrezione della Lega Nord e conseguente clamorosa spaccatura della maggioranza nel consiglio regionale della Lombardia. Rarissimi sono i casi tipo quello di Figline e Incisa Valdarno, i cui sindaci sei mesi fa hanno scritto alla Regione Toscana chiedendo una legge regionale che autorizzi il loro matrimonio. Anche se in questo caso c’è un precedente storico, visto che Incisa e Figline erano un solo Comune fino al 1852, quando il granduca di Toscana ne decretò la scissione. Ancora più rari, poi, sono i casi in cui la fusione va in porto per decisione popolare. I campanili l’hanno sempre avuta vinta, come dimostra tra l’altro il fallimento di quella proposta (per la verità  abbastanza strampalata per com’era formulata) dell’ex ministro Roberto Calderoli, il quale voleva l’unione obbligatoria dei municipi con meno di mille abitanti.
Avendo rotto il tabù, Rivignano e Teòr risparmieranno un sacco di soldi. Almeno 200 mila euro soltanto di costi amministrativi. Settantamila di compensi agli amministratori, il cui numero scenderà  dagli attuali due sindaci e dieci assessori a un sindaco solo con cinque assessori. Altri 30 mila per i revisori dei bilanci, che si ridurranno a un terzo (oltre ai due Comuni, oggi c’è anche l’Unione dei Comuni, destinata ovviamente a sparire). Il resto è per le scartoffie in meno, l’unificazione dei contratti delle utenze, la migliore efficienza dei servizi. E chi pensa che siano bruscolini faccia questo conto: 200.000 diviso per i 6.450 abitanti fa 31 euro a testa. Ebbene, immaginando di risparmiare 31 euro per ogni cittadino italiano avremmo tagliato già  le spese di un miliardo 860 milioni l’anno.


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