Camera e Senato, fiducia negata Il Pdl rompe con l’esecutivo

by Sergio Segio | 7 Dicembre 2012 5:39

Loading

ROMA — Due mezze fiducie non mettono al riparo il governo dal rischio di uno sfratto anticipato da Palazzo Chigi. E i numeri sono impietosi: nell’arco di una giornata — quella in cui Silvio Berlusconi ha deciso di staccare parzialmente la spina all’esecutivo tecnico — il premier Mario Monti porta a casa la conversione di due decreti, pagando però un prezzo politico altissimo. Al Senato, il decreto sviluppo incassa solo 127 sì (ben al di sotto della soglia di sopravvivenza) mentre alla Camera il decreto sui costi della politica si ferma a quota 281. La «strana maggioranza», dunque, perde un pezzo perché il Pdl risponde compatto al richiamo del Cavaliere (tranne poche eccezioni: Pisanu, Frattini, Cazzola, Mantovano, Malgeri e Castellani) e al momento del voto sulla fiducia si astiene mettendo in cantiere un voto anticipato a febbraio o a marzo.
L’amaro risveglio per il presidente Mario Monti arriva di mattina, a Palazzo Madama, quando il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, fa la dichiarazione di voto: «Il gruppo non parteciperà  al voto pur garantendo il numero legale. In questo modo vogliamo esprimere nelle forme regolamentari il passaggio a una posizione di astensione nei confronti del governo». Il messaggio è chiarissimo. Tanto che alla seconda chiama arriva in aula a votare anche Monti che si ferma nell’emiciclo a parlare con il ministro Corrado Passera. Poi Domenico Gramazio (Pdl), subito richiamato dal presidente Schifani, espone un cartello («Fate votare Passera») con riferimento alle dichiarazioni su Berlusconi fatte dal ministro Corrado Passerà  ad Agorà  di Raitre: «Tutto ciò che può solo fare immaginare al resto del mondo, ai nostri partner, che si torna indietro non è un bene per l’Italia…». Il Pdl insorge. Ma poi Gasparri e Quagliariello sono di parola: e, insieme a una pattuglia di colleghi, si astengono — non «dal voto», come il grosso del gruppo, ma «nel voto» — per garantire il numero legale.
A quel punto, Monti esce dall’aula del Senato senza guardare in faccia nessuno. Il premier rientra a Palazzo Chigi dove poi il governo ci metterà  molte ore per approvare (senza variazioni) lo schema del decreto legislativo sull’incandidabilità  dei condannati che era entrato nel mirino di Berlusconi. Ma ormai la giornata ha preso un’altra direzione. Il segretario Angelino Alfano — pronto a salire oggi al Quirinale — motiva così la mossa del Pdl: «La nostra astensione è il segnale di un evidente disagio». Pier Luigi Bersani si chiama subito fuori: «Resteremo fedeli al governo fino alla fine della legislatura… ma nessuno può pensare che abbiamo paura delle elezioni. Napolitano troverà  modi e forme per chiudere questa vicenda».
Nel pomeriggio, alla Camera, la scena si ripete con la fiducia sul decreto sui costi della politica. L’annuncio dell’astensione lo dà  Fabrizio Cicchitto che torna ad attaccare il ministro Passera: «Un povero untorello». Alla fine, non rispettano l’ordine del Cavaliere solo in cinque anche se altri 50 deputati del Pdl non si presentano in aula. Dopo il voto (281 sì del Pd e dell’Udc, 140 astenuti del Pdl, 77 no della lega e dell’Idv), il presidente Gianfranco Fini confiderà  ai suoi: «Cicchitto ha certificato che il governo è politicamente finito. Meglio non prolungare l’agonia».
Ora Bersani e Casini sono più vicini. Il leader dell’Udc arriva a dire che Berlusconi ha voluto lo strappo per affossare la legge elettorale e per avvertire il governo che sull’incandidabilità  non si scherza. Quel decreto ora arriva per il parere alle Camere dove può rimanervi 60 giorni a partire dalla data del differimento alle commissioni. Donato Bruno (Pdl), presidente della prima commissione, dice che «è un buon testo, lo valuteremo in fretta…». Ma c’è chi vorrebbe affossare la norma di attuazione sulle «liste pulite» che, una volta varata («I pareri si possono dare anche a Camere sciolte», dice il sottosegretario Malaschini), vale retroattivamente anche per le regionali del 3 febbraio, in termini di decadenza dalla carica per chi si è fatto eleggere nascondendo una condanna per i reati ostativi previsti dal governo. Che ha esercitato una delega scritta dall’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

Post Views: 172

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/12/camera-e-senato-fiducia-negata-il-pdl-rompe-con-lesecutivo/