Bilancio Usa, Obama affronta i repubblicani
NEW YORK — Appuntamento stasera alla Casa Bianca. Il presidente Barack Obama ha invitato ieri i leader repubblicani e democratici per raggiungere un accordo sul «fiscal cliff», il baratro fiscale in cui rischia di precipitare l’economia americana, con effetti disastrosi per mezzo mondo.
Appena rientrato dalle vacanze alle Hawaii Obama ha ripreso il filo dei contatti con gli interlocutori del partito di opposizione, John Boehner (speaker della Camera) e Mitch McConnell (Senato). All’incontro di oggi parteciperanno anche i rappresentanti del partito democratico, il capogruppo al Senato Harry Reid e Nancy Pelosi, numero uno della minoranza democratica alla Camera.
La mossa del presidente ha sbloccato a fine giornata (in Italia già notte fonda) una situazione di stallo e di polemiche.
I repubblicani aspettano le proposte di Obama e per il momento sembrano confermare l’intenzione di ricomparire alla Camera solo domenica sera, dove sono in maggioranza, riconvocati dallo speaker John Boehner. Ma già oggi comincerà il confronto per rinnovare o modificare le agevolazioni fiscali introdotte dall’ex presidente George W. Bush. In parallelo, andranno ridefiniti i tagli alla spesa pubblica, chiesti dal partito di opposizione per firmare l’intesa.
Il negoziato per ora sembra prigioniero di un’aspra polemica politica. E’ quello che gli analisti di Washington chiamano il «blame game»: democratici e repubblicani si rimbalzano la responsabilità per il possibile fallimento delle discussioni.
Il Senato, dove i sostenitori della Casa Bianca sono in maggioranza, è già al lavoro. Ieri mattina il leader dei democratici, Reid aveva preso la parola: «Noi siamo qui a lavorare. Dove sono i colleghi repubblicani? E dove sono rappresentanti della Camera? Dovrebbero essere qui anche loro». La risposta dei repubblicani arrivava in aula nel pomeriggio. Il capogruppo Mitch McConnell fa notare: «i democratici hanno respinto ogni nostra proposta».
Ora il repubblicano Boehner, speaker della Camera, potrebbe convocare i deputati stasera, in modo da riaverli in aula, come prescrive il regolamento, 48 ore dopo, cioè domenica alle 18. Ieri si è limitato a diffondere una nota per precisare che attiverà la procedura per la riapertura della Camera solo «se il Senato approverà un provvedimento».
L’opinione pubblica assiste a queste manovre di corridoio, allo scambio continuo di accuse, con avvilimento crescente, come dimostrano i sondaggi tutti improntati al pessimismo. I mercati finanziari, per ora, seguono come irrigiditi in una nervosa attesa (ieri Wall Street ha chiuso a meno 0,14).
Televisioni, giornali e siti continuano a fare e rifare calcoli sulle perdite fiscali in arrivo, insieme con il taglio dei sussidi ai disoccupati. In più, altro elemento di allarme, c’è la lettera che il segretario del Tesoro, Timoty Geithner ha inviato due giorni fa al Congresso: il 31 dicembre verrà toccato il tetto di indebitamento consentito. Dopodiché il governo potrà mettere in campo «misure straordinarie» per recuperare le risorse aggiuntive necessarie.
Quanto tempo potrà resistere? Un mese e mezzo, forse due mesi. Non c’è una previsione ufficiale. Una ragione di più per rimettere in ordine il bilancio, scavalcando il «fiscal cliff» e, subito dopo, ritoccare il livello di debito. Due decisioni che ora Obama cercherà di favorire, aumentando la pressione su un Congresso ancora in stallo.
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