Bersani valuta l’effetto Monti: ma chi non vince non fa il premier
E poi il leader del Pd è convinto, come ha detto ai suoi, che il Monti bis a questo punto non sia più proponibile: «Non può diventare premier chi non vince le elezioni».
Il che non significa che Bersani prenda sotto gamba la situazione: «Ogni parola di Monti verrà amplificata dai media, ogni gesto esaltato», spiega ai suoi il segretario. E Bersani sa anche che nello scontro Berlusconi-Monti il Pd rischia di essere costretto a «giocare in seconda battuta». Per questo ritiene opportuno non andare appresso alle accuse che i due si scambieranno di qui alle elezioni: «Il Pd farà la sua campagna elettorale».
Con i compagni di partito il segretario non ha nascosto di non aver gradito «l’incoerenza» del premier che da tecnico super partes si è trasformato in protagonista della politica. Ai vertici del Pd non è piaciuto nemmeno il fatto che un consulente del governo come Bondi venga utilizzato per affari di partito, o che il vice segretario generale di palazzo Chigi Toniato partecipi alle riunioni del movimento montiano: «Se l’avesse fatto Berlusconi o l’avessimo fatto noi si sarebbe gridato allo scandalo. E invece con Monti silenzio».
Ma Bersani sa che il Pd non può «fare campagna elettorale contro Monti», perché «lui ora è un nostro concorrente, ma in futuro potrà essere un nostro alleato». Perché la prossima dovrà essere «una legislatura costituente» in cui i moderati e il centrosinistra saranno chiamati a collaborare. Quanto meno per varare «le grandi riforme istituzionali e le grandi riforme di struttura», chiosa Stefano Fassina
Per questo Bersani non attaccherà frontalmente il premier. Però non seguirà nemmeno il consiglio di Veltroni: «Il Pd riconosca il lavoro di Monti». Il segretario non rinuncerà a qualche stoccata perché capisce che in una campagna elettorale come questa i toni troppo pacati e la mediazione non pagano. Più liberi di «sparare» sul premier gli altri dirigenti del Pd, che infatti hanno già cominciato con i primi colpi. Matteo Orfini ha battezzato i montiani come «la lista dei miliardari e dei carini». Franceschini ha sostenuto che l’agenda Monti sarebbe stata «iniqua» se il Pd non l’avesse modificata. E il «governatore» della Toscana Enrico Rossi ha dichiarato: «Il premier ha affidato la spending review dei suoi candidati a Bondi, da noi la fanno i nostri elettori, con le primarie. È una questione di stile».
Bersani per ora evita questi toni, ma aspetta Monti al varco: il premier dovrà decidere se sta a destra o se si colloca a sinistra, perché questi sono due termini «che hanno ancora un significato, non sono categorie del passato».
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