Bersani: «Dal premier un atto di dignità »

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ROMA — «Credo proprio che a questo punto si voti a febbraio»: sono passati pochi minuti dall’annuncio di dimissioni di Mario Monti, quando Bersani avverte i suoi. I tempi si accorciano. Proprio come voleva il Partito democratico. L’annuncio del presidente del Consiglio non ha sorpreso il leader del Pd. Del resto gli spazi di manovra del premier si erano ridotti proprio dopo che il segretario aveva messo le mani avanti: «Non ci faremo logorare andando avanti ancora tre mesi e non accetteremo nessun altro governo Monti con una maggioranza diversa».
Capita l’antifona l’inquilino di palazzo Chigi ha tratto le conseguenze. E dopo che il Pd ha convinto anche l’Udc di Casini che l’unica strada è quella delle elezioni, congelare la crisi per Napolitano diventa difficile. D’altra parte Bersani era stato schietto con il capo dello Stato, com’è nel suo carattere, anche ieri dopo il loro ultimo colloquio: «Giorgio, mi sembra inutile, anzi nocivo per il Paese, andare avanti con questa situazione sfilacciata, non lo dico solo per noi che comunque verremmo logorati e danneggiati da un Pdl che si mette a fare l’opposizione negli ultimi mesi della legislatura, mentre noi sosteniamo un governo i cui provvedimenti di certo non ci convincono fino in fondo. A questo punto è necessario che la parola torni agli elettori e che finalmente nasca un governo politico in grado di gestire le difficoltà  che ci attendono».
Non è dunque un caso che il segretario del Pd, dopo l’annuncio di dimissioni del premier, abbia fatto una dichiarazione che lasciava pochi spazi all’ambiguità : «Quello di Monti è un atto di dignità  che rispettiamo profondamente. Siamo pronti a operare per approvare nel tempo più rapido possibile la legge di stabilità ».
Insomma, nessuna richiesta al premier di ripensarci, nessun appello alla prosecuzione della legislatura per varare gli ultimi provvedimenti in calendario e per mandare in porto una riforma elettorale a cui da tempo non crede più nessuno: solo la semplice presa d’atto dell’annuncio di dimissioni del presidente del Consiglio e la conferma che a questo punto il Pd vuole concludere la legislatura il prima possibile. Calendario alla mano a largo del Nazareno hanno constatato che si può tranquillamente votare a febbraio. Proprio come voleva Bersani. Le elezioni a breve, infatti, consentono al leader del Pd di accelerare la composizione della sua aggregazione elettorale, che punta su più liste, e di non subire l’offensiva mediatica berlusconiana contro il governo Monti restando nella difficile posizione di chi è costretto ad appoggiare l’esecutivo.
A questo punto, finalmente, Bersani può scaldare i motori della sua campagna elettorale. E può metter mano alle liste elettorali imponendo il rinnovamento: per le primarie, ormai, non c’è più tempo e quindi il segretario del Pd dovrà  occuparsi in prima persona delle liste. Senza però dare l’impressione di decidere tutto dall’alto, anche perché le regioni più rosse, l’Emilia-Romagna in testa, non vogliono essere costrette a eleggere i «catapultati» di Roma.
Lavoro duro, ma assai più piacevole di quello di chi «è costretto a portare la croce del governo mentre Berlusconi si tiene le mani libere». Bersani è pronto alla sfida con il Cavaliere e anche se alcuni sondaggisti sostengono che il ritorno di Berlusconi, per la sua capacità  di condurre una campagna elettorale, possa far guadagnare diversi punti in percentuale al Pdl (addirittura il 28 per cento), il segretario del Pd è convinto di farcela. Sostiene di non temere il pareggio al Senato e di essere «pronto a prendere le responsabilità  che mi competeranno». Tanto che sta già  pensando al governo che verrà . Bersani vuole facce nuove nel suo gabinetto. Ed è pronto ad accettare la richiesta di Nichi Vendola che vorrebbe per sé il ministero dei Beni culturali.


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