Battaglia fra islamici e laici L’Egitto sull’orlo del caos

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Gli egiziani, divisi sulla Costituzione, si scontrano in piazza. Sassaiole, molotov e, secondo voci non confermate, coltellate e colpi d’arma da fuoco avrebbero provocato due morti e oltre 200 feriti ieri davanti al Palazzo presidenziale del Cairo. In serata l’annuncio che altri tre consiglieri di Morsi si sono dimessi, mentre il presidente invitava alla calma: «Date una chance agli sforzi che stiamo compiendo per iniziare un dialogo nazionale».
Martedì una protesta di migliaia di oppositori soprattutto laici aveva costretto il presidente Mohammed Morsi a lasciare il palazzo dalla porta sul retro. Poi, nella notte, alcune centinaia di manifestanti si erano accampati in un sit-in. Su di loro si è riversata ieri una manifestazione concorrente chiamata in piazza dalla Fratellanza musulmana. Gridando lodi a Morsi, alla sua «legittimità » e appelli alla protezione divina, i sostenitori del presidente hanno smantellato le tende dei rivali, che si sono dispersi nelle stradine adiacenti continuando a urlare i loro slogan. Gli scontri sono andati avanti per tutto il giorno. In serata alcuni degli islamisti sembravano intenzionati a stabilire un loro sit-in davanti al palazzo, dove il presidente è tornato intanto a lavorare. A Ismailiya bruciata una sede dei Fratelli musulmani. «Questa è la fine della legittimità  del governo», ha tuonato Mohamed ElBaradei, il premio Nobel per la Pace che insieme agli ex candidati alla presidenza Amr Moussa e Hamdeen Sabahi rappresenta l’opposizione politica, e che ha accusato i sostenitori di Morsi di «attacchi brutali e deliberati contro manifestanti pacifici».
Le due proteste sono l’ultima escalation di una crisi politica che squarcia sempre più profondamente l’Egitto in due: islamisti da una parte contro giovani laici e partiti liberali dall’altra, entrambi sempre più trincerati nelle rispettive posizioni e incapaci di dialogare.
A fine novembre, il presidente ha assunto con un decreto ampi poteri, impedendo ai giudici di bloccare ancora una volta la contestata Assemblea costituente dominata dagli islamici. Questi ultimi, in tutta fretta, hanno approvato la scorsa settimana una bozza costituzionale da sottoporre a referendum il 15 dicembre. «Il voto andrà  avanti comunque, nonostante i disordini», ha assicurato ieri il vicepresidente Mahmoud Mekki in tv. Ha promesso che, dopo il voto, i cambiamenti saranno ancora possibili, «la porta del dialogo resterà  aperta», e ha suggerito che, raggiunto un consenso su eventuali emendamenti, li si potrà  proporre al nuovo parlamento da eleggere nel 2013. Ipotesi che non è riuscita però a placare la piazza dove la polizia in assetto antisommossa ha cominciato a schierarsi in serata.
L’opposizione politica non chiede (come fanno ormai in strada i giovani oppositori) la fine del regime di Morsi, ma chiede che il presidente rinunci ai nuovi poteri come pure alla bozza costituzionale che, ai loro occhi, non è frutto di vere consultazioni e non fa abbastanza per proteggere le libertà  politiche ed economiche, i diritti delle donne e delle minoranze. Si dicono pronti al dialogo solo se ci sarà  un’offerta ufficiale di Morsi. Ma la Costituzione sembra destinata ad essere approvata nel referendum. Dagli Stati Uniti, il segretario di Stato Hillary Clinton chiede che si apra in Egitto un vero dialogo politico sulla nuova Carta: non ha voluto indicare se la ritenga manchevole, ma ha sottolineato che dovrebbe rispettare i diritti di tutti.


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