Mia cara America abbi il coraggio di posare il fucile

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I bambini fra i 5 e i 14 anni di età  negli Stati Uniti, secondo David Hemenway, esperto di salute pubblica all’Università  di Harvard e autore di un ottimo libro sulla violenza con armi, hanno una probabilità  13 volte superiore a quella dei loro coetanei di altri Paesi industrializzati di essere uccisi da un’arma da fuoco. E allora cerchiamo di trattare il problema delle armi con razionalità , come l’elemento centrale di una crisi di salute pubblica che produce un morto ogni 20 minuti.
GLI Stati Uniti, realisticamente, non metteranno al bando le armi, ma promulgare misure per contenere la carneficina è possibile. Le uniche cose su cui non siamo rigidi sono quelle che hanno più probabilità  di uccidere. 
L’Occupational Safety and Health Administration, l’ente pubblico che si occupa della sicurezza sul lavoro, ha cinque pagine di regolamenti sulle scale, mentre le autorità  federali fanno spallucce quando qualcuno propone di imporre limitazioni concrete alla diffusione delle armi da fuoco. Le scale uccidono circa 300 americani all’anno, le armi 30.000.
Abbiamo regolamentato perfino le armi giocattolo, che devono avere obbligatoriamente la punta arancione, eppure ci manca il fegato per prendere di petto gli estremisti della National Rifle Association e imporre sulle armi vere regole altrettanto rigorose di quelle che imponiamo sui giocattoli. Come ha scritto uno dei miei followersu Facebook dopo il mio articolo sul massacro: «È più difficile adottare un animale domestico che comprare un’arma ». Io sono cresciuto in una fattoria dell’Oregon, dove le armi erano parte della vita quotidiana, e mio padre mi regalò un fucile calibro 22 per il mio dodicesimo compleanno. Per cui lo posso capire: sparare è divertente! Ma anche guidare è divertente, eppure accettiamo che sia obbligatorio indossare le cinture di sicurezza, accendere i fari di notte e riempire dei moduli per comprare una macchina. Perché anche le armi da fuoco non possono essere regolamentate in modo altrettanto maturo?
E non venitemi a dire che non cambierebbe nulla perché i pazzi saranno sempre in grado di procurarsi un’arma. Se riuscissimo a ridurre di un terzo le vittime delle armi, salveremmo ogni anno 10.000 vite. E non sognatevi neanche di tirar fuori la balla che se più persone andassero in giro armate questo scoraggerebbe o fermerebbe gli sparatori. I casi in cui un semplice cittadino armato ha fermato una strage negli Stati Uniti sono più unici che rari.
La tragedia non è un singolo massacro in una scuola, è l’incessante pedaggio di morte che paga ogni anno il nostro Paese, ovunque. Muoiono più americani per omicidi e suicidi con armi da fuoco in 6 mesi di tutti quelli che sono morti in attentati terroristici negli ultimi 25 anni e nelle guerre in Afghanistan e in Iraq messe insieme. Ma allora che cosa possiamo fare? Un buon inizio sarebbe imporre il divieto di acquistare più di un’arma al mese, per limitare il fenomeno dei trafficanti. E allo stesso modo si potrebbe proibire la vendita di caricatori con più di dieci pallottole, così gli assassini non potrebbero più ammazzare tutte quelle persone senza ricaricare.
Bisognerebbe anche introdurre l’obbligo di un controllo generalizzato dei precedenti per chi compra un’arma, anche nelle compravendite tra privati. Facciamo numeri di serie più difficili da cancellare e sosteniamo il progetto californiano di introdurre l’obbligo di imprimere un minuscolo timbro su ogni cartuccia, in modo che sia possibile ricondurre i proiettili sparati a un’arma specifica.
«Abbiamo sopportato troppe tragedie del genere negli ultimi anni», ha dichiarato fra le lacrime il presidente Barack Obama in televisione. Ha ragione, ma la soluzione non è limitarsi a piangere le vittime, la soluzione è cambiare politica. Serve capacità  di leadership, non solo discorsi commoventi. L’esperienza di altri Paesi ci può essere di insegnamento. In Australia, nel 1996, il massacro di 35 persone portò al riacquisto da parte dello Stato di 650.000 armi da fuoco e all’introduzione di regole più severe sul porto d’armi. Nei 18 anni precedenti c’erano state 13 stragi: nei 14 anni dopo la completa entrata in vigore della legge, nemmeno uno. Il tasso di omicidi commessi con armi da fuoco è crollato di oltre il 40 per cento, secondo i dati compilati dal Centro di ricerca sul controllo degli infortuni dell’Università  di Harvard, e il tasso di suicidi con armi da fuoco si è più che dimezzato.
Oppure possiamo cercare ispirazione guardando a quello che abbiamo realizzato sul fronte della sicurezza sulle strade. Alcune morti sono causate da persone che violano la legge o si comportano in modo irresponsabile. Però non liquidiamo la cosa dicendo: «Non sono le auto che ammazzano la gente, sono gli ubriachi». Al contrario: abbiamo imposto le cinture di sicurezza, gli air bag, i seggiolini per bambini. Qualcuno di voi oggi è vivo grazie a quelle norme.
(©New York Times La Repubblica Traduzione Fabio Galimberti)


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Non mi viene in mente nessuna delle ricorrenti stragi americane che sia stata perpetrata da una donna. Al di là  della modalità  e degli strumenti, dunque, la dimensione di genere ci aiuta a collocare queste tragedia in un quadro un po’ meno esclusivamente americano: in fondo, anche in Italia è in corso da un pezzo una strage ininterrotta, solo che invece di un omicidio di massa tutto in una volta con armi convenzionali si tratta di uomini che uccidono le loro vittime una alla volta, usando una varietà  di armi, domestiche e non.

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