Appello a Monti e guerra alla sinistra Il Pdl si ricompatta

by Sergio Segio | 17 Dicembre 2012 7:34

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ROMA — Invocano Monti, sperano in Alfano, ma per ora si tengono Berlusconi. È incarnato da una leadership tripartita, in bilico tra ideali e realpolitik, il sogno di riscossa dei «montiani» del Pdl, che ieri mattina hanno riempito il Teatro Olimpico di Roma. Più di mille militanti armati di vessilli tricolore in cerca di un partito nuovo — non di un nuovo partito — e, sul palco, i dirigenti delle associazioni promotrici: Sacconi, Alemanno, Lupi, Quagliariello, Cicchitto, Albertini, Mauro, Mantovano, Urso, Augello, Roccella, Giovanardi.
Berlusconi non c’era, ma con una lettera ha messo il sigillo su «Italia popolare». Un’operazione nata da un impulso scissionista e che è servita invece a ricompattare quasi tutte le anime del partito. «Chi auspicava scissioni resterà  deluso» strappa l’ultimo, breve applauso Angelino Alfano che è ora di pranzo, chiudendo un discorso di re-investitura con il quale il segretario si è ripreso la scena, ha offerto a Monti «l’occasione storica» e «irripetibile» di riunificare i moderati e ha concluso, con ritrovato orgoglio: «Avanti con Monti, altrimenti avanti da soli. Possiamo ancora vincere!».
Roberto Formigoni arriva tra i primi, inseguito da un elettore angosciato dai «comunisti». L’ex presidente della Lombardia lo placa («Bersani non vincerà ») e spiega la doppia linea: «Monti accetti la candidatura dei moderati e Angelino ci guidi verso il futuro». E se per Maurizio Lupi «il leader è Berlusconi», Formigoni è disposto a riconoscergli solo «un ruolo da king maker, più che da king». Che poi le riforme dei tecnici non coincidano col programma dei neopopolari poco importa, perché «non è la politica di Monti che continua, ma la sua figura».
La convention, un mix di umori teocon, ciellini, ex socialisti e della destra sociale, si apre con un filmato: variazioni sul tema Dio-patria-famiglia attraverso spezzoni di film nazional-popolari. Ma quando sullo schermo appare Benigni, amatissimo a sinistra, parte una bordata di fischi. Un militante si alza e se ne va. E Gianni Alemanno dal palco sdrammatizza la gaffe: «Abbiamo capito, Benigni non vi è piaciuto…». Applausi, anche perché il teatro è pieno di amici del sindaco contenti di sentirsi dire che «questo Pdl non è adeguato» a incarnare i valori del popolarismo. Chi meglio di Monti, allora? Maurizio Sacconi concede al premier lo status più alto: «Può essere come De Gasperi, che guidò un governo di unità  nazionale». La citazione degasperiana di Franco Frattini arriva via telefono: «Solo uniti saremo più forti…». Al nome di Monti scattano gli applausi, ma c’è anche chi grida «no, è un banchiere!». E due «basta!» isolati si levano anche quando viene letta la lettera di Berlusconi.
«Italia popolare» c’è, ha un manifesto e un programma. Ma una «paradossale corrente montiana», garantisce Fabrizio Cicchitto, non nascerà  mai. Più che il montismo, il collante è l’anticomunismo. «Uniti per battere Bersani», dice un solitario striscione. Come azzarda Gaetano Quagliariello «prima c’era il centralismo democratico e ora ci sono le primarie», ma il progetto non cambia. «Montiano io? — sorride sornione Cicchitto — No, sono qui per l’unità  del Pdl»…

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